L’ossessione delle radici
Visioni del sud
nella nodosa corteccia
degli ulivi
frammenti di luce
in comode rate
a colmare gli abbracci inevasi.
Un libro, un taccuino, un caffè
fan da cornice a quest’elioterapia del
ritorno.
Non c’è scadenza, né vuoto a
rendere
in quest’ossessione delle
radici.
La premessa sta ad attestare che, già questa sola poesia, mi selezionerebbe tra i lettori della silloge di cui vado a scrivere.
Si tratta del libro vincitore del Narrapoetando 2023 per Fara Edizioni, “Implicita missione. La fotosintesi della memoria”: un titolo e un intero programma – tra l’altro, alquanto impegnativo!-, ma Claudia Piccinno è abituata a queste sfide.
Pregnanti e generative penso siano gli aggettivi più idonei per indicare le radici: non te ne liberi mai e inevitabilmente si diramano. E quando tornano a bisbigliare è solo per ricordarci che non fummo né saremo mai veramente orfani.
Siamo eredi, siamo sempre
continuatori verso un sapere dell'anima, direbbe Maria Zambrano.
Amo le venature
del servizio buono di mamma
la porcellana numerata
ormai invecchiata.
Leggo le storie di famiglia
dove riposano pietanze della tradizione.
Rivedo la tavola imbandita
e attorno…
chi è partito per l’eterno
viaggio.
Ci sono io bambina e mio fratello,
le letterine sotto al piatto,
le monetine se declamo poesia,
mamma che stupisce i parenti col menù,
nonna che traffica al lavello,
i cugini in chiassosa allegria.
Mi specchio nei piatti consumati
custodi di festose memorie
e li esibisco ancora
coi bicchieri desueti di cinquant’anni fa.
Scorre la vita,
s’allarga e si restringe la famiglia,
restiamo in pochi a tessere legami
attorno alla tavola delle
feste.
Scrivere per smussare gli angoli,
trovare soluzione, per rendere più leggibile la vita ma, chi scrive di poesia,
lo fa essenzialmente per “riportare al cuore” – ricordo dal latino re-indietro
e cor- cuore -, disseppellisce per ridare ad un “fu” la chance di un altro respiro.
Bianca la luce
bianca la pietra
bianche le piazze,
incantesimo dello scalpello
la mia Lecce.
Ingrata verso i suoi talenti
ha ripudiato illustri menti
e figli d’arte
che altrove furono acclamati.
La storia si ripete
nei corsi e nei ricorsi.
Riaffiora l’Idume con la gola secca.
Si svelano le corti alla controra
coi pergolati e ficus aggrovigliati.
Fu culla dei Messapi, e Magna Grecia,
affiorano rovine ad ogni scavo,
fu patria del Barocco,
fucina del Risorgimento.
Fermenta la vita di giorno
si esalta di notte nei vicoli angusti.
L’estro sulle ali dello Scirocco
risveglia memorie lontane.
Suona il cembalo
e accenna la pizzica.
Bianca la pietra
bianca la luce
pasceva la lupa
nelle foreste di leccio,
ci guarda dal frontone
a Sant’Irene,
del turista
attende il saltello
nel mosaico della Piazza.
Sant’Oronzo c’impartì
la sua Benedizione.
Giorgio e la sua umiltà
mi siano di lezione.
E mi servo liberamente - e indegnamente - del grande Edmond Jabés* per una chiusa che vorrei ritardare, rischiando così di svelare troppe poesie:
se è vero che viviamo di
scritti e moriamo di cancellature, sarà anche vero che la Terra dell’infanzia,
dell’adolescenza, della maturità e della vecchiaia. La Terra del sogno e della
ferita, non sarà mai Terra d’oblio.