venerdì 6 settembre 2019

Camminamento n. 9 - Alessandra Corbetta


CAMMINAMENTI

trincee o scavi, comunicazioni tra opere
fortificate e le immediate retrovie (… praticamente Poeti)


Camminamento n. 9 - Alessandra Corbetta


Linearità del pensiero in un dire naturalmente poetico è quanto abbacina nel verso di Alessandra Corbetta. L’avverbio vorrebbe sottolineare un dire semplice che non significa facile – s'avverte l'impronta di nomi grandi della poesia, che omaggiano ancora la Nostra, di un loro fruscio - e immediato che non vuol dire impulsivo -ogni parola è soppesata con un sguardo al senso e l'altro alla nota. Un travaso -riuscito- da/ad anime ricettive, non per forza in sintonia, ma disponibili a farsi abbraccio e abbracciare.
È poesia che ha il suo dilucolo nella millesima parte del frammento di un sé, un lento e leggero crescendo, un procedere a mo’ di sussurri, per poi svelarsi in un riflesso che appartiene anche a noi che la leggiamo, come se, finalità del verso, fosse quello di cancellare i due ruoli -autore e lettore- lasciare entrambi senza più pelle, ognuno dinanzi la propria emozione.
Una visione dall'alto, o forse, da altro: un guardarsi e leggersi e, soprattutto, tradursi;  il tutto da svariati punti di visuale,  tanti quanti sono i crocicchi dove questa abile Poeta si sofferma e ci fa dono di sé.

A domanda, ha risposto ...


*
La poesia è liberazione, perché è una forma di libertà. Lungi dall’essere un’emozione, essa è lo specchio di un’emozione; è al di fuori e al di sopra, tranquilla e serena. Per cantare una sofferenza, bisogna esser già, se non guariti di questa sofferenza, almeno convalescenti. Il canto è sintomo di equilibrio; è una vittoria sul turbamento, è la ripresa delle forze.
Come chioseresti il pensiero di Frederìc Amiel?

Il pensiero qui espresso dal filosofo e poeta ginevrino Amiel è senz’altro impattante e per molti, sulla base della propria concezione di arte e di poesia, anche condivisibile.
Non per me. O almeno, in minima parte.
Parto dal fondo. Una sofferenza la si canta quando si può, quando si riesce, spesso durante la sofferenza stessa; quello che si canta dopo, nella fase definita di convalescenza, è già altro, una rielaborazione, uno step successivo, il frutto di una metabolizzazione: altro, comunque. E non se ne sta facendo un discorso di riuscita poetica, cioè non è detto che ciò che si canti durante la sofferenza abbia un valore, un merito, una bellezza; così come non è detto che ce l’abbia quello che viene scritto dopo. Quindi, indipendentemente da un giudizio estetico e critico, non esiste nessuna regola (per fortuna) su quando debba o possa nascere il canto. Un canto che, per me, è quanto di più lontano dal concetto di equilibrio o di vittoria; il canto, cioè lo scrivere poesia, è l’ammissione del proprio turbamento, inteso come sete di risposta, di senso, di tentativo allo sfaldamento del dubbio. Chi abbraccia e viene abbracciato dalla poesia è immerso in una continua ricerca di sé e degli altri, del mondo che lo circonda, è in perenne movimento. E se è vero che l’equilibrio non è mai statico, è altrettanto vero che la sua oscillazione è minima, mentre le oscillazioni di chi scrive poesia sono molto, molto più marcate, più nette. Il canto, allora, è piuttosto una ricerca di equilibrio, consapevolmente irraggiungibile ma che, proprio nel momento in cui fa scaturire un moto per provare a sfiorarlo, ci sposta oltre la nostra naturale condizione di finitudine. Non vittoria, ma ammissione in partenza della propria sconfitta e, dunque, punto zero per ri-partire verso l’oltre-sé. Se, poi, mi si chiedesse di trovare due aggettivi per definire la poesia, tutto mi verrebbe da dire tranne che tranquilla e serena, aggettivi che non mi appartengono, tra l’altro, in nessuna forma e che, quindi, non potrei accostare in alcun modo all’arte che amo più di ogni cosa è che, per me, continua a essere definibile come bellissima e tremenda.
Ma certamente è una forma di libertà, come dovrebbe essere, del resto, ogni espressione artistica. Una volta, alla presentazione di una sua biografia, un cantautore che amo molto disse che la libertà ha un prezzo altissimo, l’unico prezzo che nella sua vita fosse disposto a pagare. Vale lo stesso per me, che pago ogni giorno la mia libertà e la scelta-non scelta della poesia come mia arte.
Quindi chioserei il pensiero di Amiel iniziando così: “Mi perdoni, ma io non sono molto d’accordo”.

*
[…] una sola l’origine della scrittura (poetica): è la parola che, uscita dall’inganno dei significati e dall’illusione dei referenti, dice se stessa, solo se stessa. Il lettore si trova di fronte una parola che dice prima di tutto la sua separazione dal noto, dal definito e poi si rivolge all’Altro, Altro veramente indefinibile. (da un’intervista a Cesare Viviani di Vera Lúcia de Oliveira)
Poesia intesa, essenzialmente, come comunicazione verso un altro veramente indefinibile: è veramente indefinibile l’interlocutore del poeta?

La mia raccolta precedente si intitola Essere gli altri (Lieto Colle 2017), dal verso di “Alter”, una delle poesie che compongono l’opera e mutuato da una delle chiuse di Umberto Fiori, poeta che amo da sempre e che del rapporto tra l’Io e gli Altri ha fatto parte costitutiva della sua poesia; uno dei primi poeti che ho letto è stato Fernando Pessoa dove, ancora una volta, la relazione tra il Sé e il Sé-Nel-Mondo è principio ineliminabile per com-prendere la sua produzione in versi: queste considerazioni   preliminari   per   dire   che   nella   mia   ricerca   poetica   l’elemento   dell’Altro   è imprescindibile, non solo come ipotetico e, molte volte, attuabile contenuto di un componimento, ma soprattutto come presenza basica per poter cantare l’Io e le sue forme di esistenza. L’Altro poetico non è paragonabile, se non in alcuni casi circoscritti al narratario della prosa, cioè al lettore che   il   romanziere   ha   in   mente   quando   sta   scrivendo,   né   al   lettore   virtuale,   ovvero   chi potenzialmente potrebbe leggere quell’opera, né al lettore reale, la persona in carne e ossa che legge o leggerà quelle pagine; l’Altro poetico è un iperonimo che include tutte queste accezioni e che, in prima   istanza,   concretizza   la   parte   altra   della   Poesia:   essa   esiste   perché   qualcuno   la   scrive, qualcun’altro l’ha smossa e qualcun’altro ancora la leggerà. Viviani sintetizza molto bene la questione dell’Altro definendolo “indefinibile”, poiché anche qualora i versi vengano messi su carta per qualcuno in particolare, ossia per un Altro appellabile addirittura con nome e cognome, questo non soddisferà mai pienamente la moltitudine di Altri a cui la poesia arriverà; esso sarà solo una delle   alterità   costituenti,   insieme   a   molte   altre,   l’Altro.   E   anche   quando   la   poesia   viene commissionata o cerca di arrivare a un “pubblico”, l’Altro resta altrove, rimane inafferrabile; per questo sorrido quando sento parlare di “pubblico della poesia”: lo capisco in bocca a uno statistico o a un ricercatore di mercato, ma in bocca a un poeta...
Allora, per concludere, l’Altro resterà sempre, almeno in parte, indefinibile, qualcosa di obliquo e travalicante,   trasversale,   qualcuno   di   onnipresente   anche   nell’assenza,   un’istanza   multipla   e molteplice nel Tempo e fuori dal Tempo, un luogo senza coordinate o rintracciabile; in ogni caso, qualcosa che ha, per ragioni diverse o senza ragione, a che fare con noi, perché l’Altro è, inevitabilmente la prima forma dell'Io.

*
La poesia contiene in sé l’oscillazione eterna tra gioia e dolore, tra piacere e sofferenza in cui si manifesta l’essenza stessa del nostro essere uomini e il mistero della nostra presenza tra gli altri esseri sul pianeta (intervista a Giuseppe Conte di Vera Lúcia de Oliveira)
Intesa come tensione a quel mistero, la poesia lo coglie o “addestra” in qualche modo ad accettarne la sua impenetrabilità ?

Marina Cvetaeva scriveva che la poesia è essenza; come a dire che prima di essere buccia, seme, nocciolo o picciolo, essa è polpa. La poesia, in altre parole, è certamente verso, metrica, suono e ritmo ma, innanzitutto, è gaze, cioè sguardo profondo e attentissimo sulle cose, incastonato in una parola in grado non solo di restituire quello sguardo, ma anche di potenziarlo, di renderlo più vivido. Chi vive la poesia deve confrontarsi necessariamente con questo tipo di visione, in cui convivono opposti e contrari, in maniera non necessariamente contrastante bensì, il più delle volte, complementare, come riconosce anche Livia Chandra Candiani in una bellissima video-intervista, intitolata “La precisione della Poesia”, a proposito di luce e buio. La poesia ci contiene e noi possiamo, in qualche modo, contenerla, in quella continua e irrisolvibile tensione che ci appartiene in quanto essere umani. Ha ragione il Maestro Giuseppe Conte nel parlare di oscillazione, essenza e mistero in riferimento alla poesia, facendolo soprattutto mentre colloca tali concetti in un contesto di presenza e alterità. Non esiste una risposta univoca alla poesia, né possibilità di risolvere o sanare quel cronotropo oscuro del chi siamo e del perché siamo ma essa, in quanto Arte, attesta l’esistenza della domanda che ci poniamo, cioè avvalora il nostro esserci nel mondo, permettendoci di riconoscere e non temere quell'impenetrabilità di cui si dice nella domanda, quell’impenetrabilità che ci sostanzia.

*
 Quali poeti porti nel cuore e cosa ti aspetti da una poesia?

Mi viene da sorridere, perché ho in mente le facce che farebbero i miei amici Luca e Francesco se fossero qui. Direbbero: “Ecco, adesso puoi dirlo, puoi nominarlo anche oggi il tuo Umberto Fiori!” Mi prendono in giro perché, ogni volta che ci vediamo, non perdo occasione di citarlo. Umberto Fiori è sicuramente un poeta che ho profondamente nel cuore; e avere nel cuore un poeta non significa ritenerlo superiore o più bravo di altri ma, almeno per me, vuol dire riconoscere che la sua poesia ci parla maggiormente di quella altrui; e a me la poesia di Fiori, da quando avevo diciotto anni fino a oggi, continua a parlare ininterrottamente, lasciandomi ogni volta a bocca aperta e con un profondo senso di comprensione e appagamento.
Ho molti altri amori poetici: quel dire nascosto e profondissimo di Milo De Angelis, la misuratissima capacità di espressione di Antonio Riccardi e la radicalità poetica di GianMario Villata; l’incantamento naturalistico che è capace di creare ogni volta Umberto Piersanti e quel modo bastardo di cantare l’amore e la vita di Davide Rondoni.  Poi c’è Rosita Copioli, Giovanna Rosadini e Livia Chandra Candiani. Questo per stare sull’amore contemporaneo, verso poeti che conosco e con cui ho avuto e ho l’onore e il piacere di dialogare.
Poi c’è l’amore originario, quello che mi ha portato ad abbracciare così intensamente la poesia; e qui i nomi non possono che essere, per me, quelli di Leopardi, Pascoli, Gozzano, Pessoa, Ungaretti e Montale.
Infine gli amori di mezzo, quelle presenze assidue e fantasmatiche che non abbandonano mai: Dickinson, Moore, Cvaetaeva, Caproni, Sereni, Romagnoli e Sexton, per citare quelle che avverto, soprattutto in questo ultimo periodo, come più piacevole compagnia.
Da una poesia, sia da quella di un grande autore affermato e riconosciuto, sia da quella di un giovane agli esordi, mi aspetto luce e bellezza, che sia una feritoia da cui possa provare a guardare meglio me stessa e il mondo che mi circonda, con uno sguardo autentico e nuovo, capace di stupirmi intensamente o, con altrettanta intensità, di farmi sentire a casa, di restituirmi quello che ho perso o non potrò mai avere; di rendermi lieta della grazia della vita.


Bio bibliografia


Alessandra Corbetta (www.alessandracorbetta.net) è nata a Erba (CO) il 4 dicembre 1988.
È dottore di ricerca in Sociologia della Comunicazione e dei Media, ha conseguito un Master in Digital Communication e attualmente è iscritta a un secondo Master in Storytelling; è teaching assistant presso l’università LIUC – Carlo Cattaneo.
Ha scritto per la rivista culturale Alfabeta2 e scrive periodicamente per ClanDestino.
Ha pubblicato il romanzo Oltre Enrico (Cronistoria di un Amore sul finale) (Silele Edizioni 2016) e le raccolte poetiche L’amore non ha via (Flower-ed 2016), Essere gli altri (Lieto Colle 2017), Corpo della gioventù (Puntoacapo Editrice 2019). Sue poesie sono anche presenti in diverse antologie, italiane e straniere.
Scrive per il giornale online Gli Stati Generali e per il Progressoline. Per il blog Tanti Pensieri cura lo spazio poetico “Il pensiero di Alex” e per il blog Menti Sommerse ha diretto la rubrica poetica “I Fiordalisi”.
Ha collaborato come Web e Social Media Director con La Casa della Poesia di Como, partecipando anche all’organizzazione di reading ed eventi poetici, tra cui il Festival Europa in Versi.
Ha vinto e ricevuto segnalazioni di merito a diversi concorsi poetici, tra cui il premio speciale della giuria a “Ossi di seppia” e il secondo premio a “Inedito – Colline di Torino-“.


Testi 


ALTER

La fortuna di essere gli Altri vorrei pescare
dentro la bolla,
tra i foglietti bianchi.

Non essere me, per un attimo
e te neanche, ma gli Altri.

I passaggi tra gli orifizi nascosti
che il piacere sfiora,
o le gambe della ragazza qui da parte,
fuori da ogni tessuto, il buco del maglione:
ciò che in ogni relazione manca,

essere gli Altri.
(da Essere gli altri, Lieto Colle 2017)




  
NEI FRAMMENTI

C’è una fortuna nella moltitudine:
tu non la vedi o non credi;
ma c’è una forza negli sprazzi
quando dell’intero solo il ricordo è ammesso.

Forse per questo
io amo stare dentro i frammenti:
perdonami
per questo tutto
che non posso volere
interamente.
(da Essere gli altri, Lieto Colle 2017)





 RENÉ

Sta nel braccio intorno alla vita
del giovane alla sua amata
l’afflato negato della tua pipa.

Sul mare la pietra è in procinto,
o forse è una risurrezione.
La schiena curva
per le grandi aspettative
serra le labbra alla fatidica domanda.

Per fortuna, lei dice sì:
CECI N’EST PAS UNE PIPE!
(da Corpo della gioventù, Puntoacapo Editrice 2019)





 TERZA ORA

Non saremo mai l’armonia complice
tra violino e xilofono

la scuola media insegna
una collina senza pendio
non è collina.

Così quel verso accarezza altri capelli,
cerca un alibi migliore.
Altrove è un viso tra tanti,
la pianta di quei limoni.
Nella bella vista anch’io vorrei morire
                                                                     ora

mentre mi guardi,
e canti e dormi e non avverti
il dolore atroce del mio passaggio
obbligato di gioventù.
(da Corpo della gioventù, Puntoacapo Editrice 2019)





 L’IDEA

Di te ho amato l’idea.
Non le mani, né i gesti, né la bocca,
ma di mani, bocca e gesti, l’idea.

Non c’è amore più forte di quello per l’idea:
non ha odore acre, perfetta nella sua tunica
 a fiori a sgambettare in riva al fiume,
non vede cadaveri passare.

Così, di te, ho amato l’idea di noi
e ora, che nel fiume vai via anche tu,
non mi rimane che deporre il pensiero.
(da Corpo della gioventù, Puntoacapo Editrice 2019)





 L’ORCHIDEA

L’etimologia ha svelato il destino
scandito tra battaglia e libertà

Più resistente del filo di metallo
che sorregge l’orchidea stanca
la volubilità si fa germoglio
da principio a principio.
Guardami più vera della fede che professi
onda in mezzo ai maremoti.

Se mi chiami per nome
rispondo.
(da Corpo della gioventù, Puntoacapo Editrice 2019)





 LA CERVA

La cerva è anima assetata,
un latrato tra orecchio e collo
l'umido che brami.

Su quel muro esiste appesa,
col cappio al collo dondola soave.
I piedi dalla sedia ho lasciato andare,
dondolo leggera: la preda
è l'ombra che rimane.
(da Corpo della gioventù, Puntoacapo Editrice 2019)





 PARTENZA N°1

Un treno deragliando
mi è entrato nello stomaco: ora
il sedile lo occupano le mie viscere
Sgrani gli occhi, mi guardi
come se io non fossi più io,
eppure la morte ci riguarda
nella nostra intimità, fa esplodere
le piccole cose rimaste bloccate
                                                       per anni
negli interscambi del corpo.
Non mi dispiace assomigliarmi,
essermi simile in questo crogiolo
di grumi, organi molli e sangue
                                                      del resto
ti sono stata davanti quasisempre a pezzi

una donna-bambina suddivisa
in frammenti inconciliabili
(Inedito)