martedì 6 febbraio 2018

Ipotetico approdo di Claudia Piccinno




Qual è in assoluto il senso della vita? … non c’è domanda più assurda! Il malcapitato destinatario viene gettato in mare alto senza ciambella. Rabbercerà una risposta, di solito la più conforme al momento allo stato d’animo al tratto di vissuto e di vivenza che percorre: altrimenti detto, non esiste una risposta univoca.

Così per la poesia. A chiedere ad un poeta perché ne scriva o cosa sia per lui la poesia, balbetterà qualcosa o risponderà prontamente con un po’ di buona roba intelligente e preconfezionata (abbiatene pietà!... non vuole deludere nessuno né è colpa sua se non lo sa; se scrivere un verso che sente impastarsi in bocca nel cervello e irradiarsi dal petto, è atto più vicino ad un automatismo una sorta di istinto animale da soddisfare -o giù di lì-, che all’attuazione di un progetto).

L’incipit è una (mia) spiegazione - conseguenza stimolo interpretazione- al titolo del libro di Claudia Piccinno: “Ipotetico approdo” Mediagraf Edizione 2017. Anche quello, il titolo, ha -o dovrebbe avere- il suo specifico peso in un libro di poesia: è una chiave di lettura il leitmotiv, comunque, il primo passo verso pagine dove si srotola un cammino aggrovigliato che cerca di districarsi

 Da Ipotetico approdo pag. 18

Rose non sa nuotare
ma è attratta dal mare,
ha freddo dentro
e teme che il fuoco
possa fare centro.
Rose è ferma sulla polena
delle sue paure,
non ha più meta
né affidabile baricentro

In una nota introduttiva Angela Iantosca indica i temi trattati – tutti forieri di un punto di visuale altro, alto, più illuminante e, quindi, rivelatore- ma in poesia valgono tanto, e forse di più, quelli non trattati, soffusi prolungamenti dello spirito tra i versi scritti si inerpicano coi loro pesanti silenzi, più presenti nella loro solo apparente assenza.

Un modo come un altro per addossarsi il dolore altrui e magari reggerlo, per un tratto, insieme – da pag. 30

Davide è il tuo nome
(poesia dedicata a un bambino affetto da autismo)

Dov’è fermo il tuo sguardo Davide?
Inciampasti nel dettaglio per non vedere l’insieme.
Non è facile decifrare la bussola dei sensi
in tale marasma di stimoli sociali.
E come sosterrò io la ricompensa
di quella biologia molesta?
Rispettare la mancata connessione
tra le tue abilità sensoriali
è fatica immane per noi così detti normali.
Sopperire coi gesti a un’attenzione condivisa,
portarti a esplicitare una richiesta,
sono finalità impellenti nella mia testa.
Davide è il tuo nome,
non sei per me diagnosi
né variante o falla di architettura genetica,
aspettativa disattesa,
precoce o tardivo intervento,
compromessa plasticità cerebrale,
disturbo dello spettro.
Davide è il tuo nome
il bambino che ama il dettaglio…
Indosserò il tuo sguardo,
ascolterò la tua confusa stereotipia,
scenderò a incrociare l’oggetto che ti attrae
per accorciare la distanza
che ti tiene relegato in una stanza.

E tra i “dolori per antonomasia” rimane l’abbandono, quel sentirsi in caduta liberà in attesa del tonfo che non arriva

Adamo, Eva e la loro poesia
Si smarrì per sempre quella vostra poesia?
unico cenno di una felicità probabile,
fugace dimenticanza del dolore,
sospesa dimensione dell’impossibile.
Incredula rabbia
devastò la geografia di un’anima,
quando il silenzio affondò la lama
nelle stimmate dell’abbandono.
Lei… minacciosa
preda di una paura atavica,
vittima incosciente di un legame
che non poteva esistere.
Una poesia senza versi né strofe
una poesia senza studenti
che la imparino a memoria,
una poesia non riconosciuta
dall’Unesco.
Eva l’ha cercata nel dubbio
nel viaggio e nelle sue colpe,
nelle scuse inviate e mai recapitate,
Eva l’ha cercata nelle minacce di Adamo,
nelle voci delle Sibille e in un giorno
del calendario.
Si smarrì forse con quella rosa rossa
di una serata estiva
spazzata dalle spire di Narciso?
O fu il frutto di allucinazioni
di un’Eva bambina?
Dimmelo Adamo, dimmelo tu.

Prima di introdurre e proporre al lettore la prossima poesia vorrei citare il Borges di Lezioni americane “Gli antichi, invece, quando parlavano di un poeta – un «artefice» – lo pensavano non solo come chi esprime alti accenti lirici, ma anche come chi narra un racconto. Un racconto in cui potevano esserci tutti i toni dell’umanità”, e nei toni dell’umanità non può mancare la poesia civile, com’è giusto che sia, perché non c’è poeta vero che non sia uomo/donna calato nella sua realtà, frammento -spettatore o interprete poco importa- di un pezzo di storia e di tempo – da pag. 52

La cetra dell’aedo
Servitore di due padrone
di Gloria e Ambizione
si lasciò accecare
dai progetti altrui.
Arlecchino
prigioniero di se stesso
non colse
l’opportunità di vivere.
Amputò il candore
mutilò l’ascolto
bloccò il frinire
del Grillo Parlante.
Potè Dante volare
senza la sua Beatrice?
Bavaglio ai desideri
museruola all’anima
e tintinnare di denari veri.
Se questa ricetta
è ora il suo credo
non c’è differenza
con la cetra dell’aedo.
Eccolo mercenario
strumento di sollazzo
pei nobili
che bivaccano a palazzo.

E ancora da pag. 58

Nei sorrisi mediatici
Residuo di petrolio
nel cuore di un’ameba
si fa plastica nelle strette di mano,
nelle rivalse di comari ignoranti.
Plastica nei sorrisi mediatici
collaudati per pedigree.
Plastica nelle strettoie verbali
per saggiare
l’ingenua di turno.
Plastica, plastica ovunque.
Ed io... resto vetro.

È una silloge con una sua precisa solidità, una pigna con tante squame, e tutte a custodire un frutto -quanto è stato proposto sin qui è solo il piccolissimo assaggio di un sapore che, assicuro al lettore, intenso e gustoso; poesia colta e non da meno intima per quante intime corde tocchi, versi di nitore aperti alla speranza -come sguardi che, carichi di troppo inverno, dipingono visioni e mattini di rondini- e non per questo meno sofferti scorticati scorticanti. Ipotetico approdo è la consapevolezza alta -del poeta ormai alto- che conosce e riconosce la sua condanna: avrà solo traguardi parziali, piccoli caravanserragli dove poggiare per poco il capo; e la sua irrinunciabile delizia: quant’è vitale riprendere ogni volta il cammino!

Chiudo con versi che rimarcano, come scritto all’inizio, il “cammino in corso” della Piccinno, ma soprattutto il cammino del Poeta -e non a caso l’iniziale è maiuscola – da pag. 78

L’invisibile speranza
Scricchiola sulle rotaie l’orizzonte
e io, nomade in viaggio senza soste,
m’inerpico a nuvole mai dome
per afferrare l’invisibile speranza.
Rocambolesca corsa
mi si ritorse contro,
eppure insisto!
Quel filo perduto
del mio ingarbugliato gomitolo
ha smarrito il principio,
ne serbo un lembo
intrappolato nella mia matassa,
attorcigliato al dubbio…
e attendo
che mano esperta sciolga
i nodi del non detto,
districando il non visto “difetto di fabbrica”
perché ne colga la bellezza
della trama imperfetta.

                                                                                                        Angela Caccia