Qual è in assoluto il senso
della vita? … non c’è domanda più assurda! Il malcapitato destinatario viene gettato
in mare alto senza ciambella. Rabbercerà una risposta, di solito la più conforme
al momento allo stato d’animo al tratto di vissuto e di vivenza che percorre:
altrimenti detto, non esiste una risposta univoca.
Così per la poesia. A
chiedere ad un poeta perché ne scriva o cosa sia per lui la poesia, balbetterà
qualcosa o risponderà prontamente con un po’ di buona roba intelligente e
preconfezionata (abbiatene pietà!... non vuole deludere nessuno né è colpa sua
se non lo sa; se scrivere un verso che sente impastarsi in bocca nel cervello e
irradiarsi dal petto, è atto più vicino ad un automatismo una sorta di istinto
animale da soddisfare -o giù di lì-, che all’attuazione di un progetto).
L’incipit è una (mia) spiegazione
- conseguenza stimolo interpretazione- al titolo del libro di Claudia Piccinno:
“Ipotetico approdo” Mediagraf Edizione 2017. Anche quello, il titolo, ha -o
dovrebbe avere- il suo specifico peso in un libro di poesia: è una chiave di
lettura il leitmotiv, comunque, il primo passo verso pagine dove si srotola un
cammino aggrovigliato che cerca di districarsi
Da Ipotetico approdo pag. 18
Rose non sa nuotare
ma è attratta dal mare,
ha freddo dentro
e teme che il fuoco
possa fare centro.
Rose è ferma sulla polena
delle sue paure,
non ha più meta
né
affidabile baricentro
In una nota introduttiva
Angela Iantosca indica i temi trattati – tutti forieri di un punto di visuale
altro, alto, più illuminante e, quindi, rivelatore- ma in poesia valgono tanto,
e forse di più, quelli non trattati, soffusi prolungamenti dello spirito tra i
versi scritti si inerpicano coi loro pesanti silenzi, più presenti nella loro
solo apparente assenza.
Un modo come un altro per
addossarsi il dolore altrui e magari reggerlo, per un tratto, insieme – da pag.
30
Davide è il tuo nome
(poesia dedicata a un bambino affetto da autismo)
Dov’è fermo il tuo
sguardo Davide?
Inciampasti nel dettaglio
per non vedere l’insieme.
Non è facile decifrare la
bussola dei sensi
in tale marasma di
stimoli sociali.
E come sosterrò io la
ricompensa
di quella biologia
molesta?
Rispettare la mancata
connessione
tra le tue abilità
sensoriali
è fatica immane per noi così detti normali.
Sopperire coi gesti a
un’attenzione condivisa,
portarti a esplicitare
una richiesta,
sono finalità impellenti
nella mia testa.
Davide è il tuo nome,
non sei per me diagnosi
né variante o falla di
architettura genetica,
aspettativa disattesa,
precoce o tardivo
intervento,
compromessa plasticità
cerebrale,
disturbo dello spettro.
Davide è il tuo nome
il bambino che ama il
dettaglio…
Indosserò il tuo sguardo,
ascolterò la tua confusa
stereotipia,
scenderò a incrociare
l’oggetto che ti attrae
per accorciare la
distanza
che
ti tiene relegato in una stanza.
E tra i “dolori per
antonomasia” rimane l’abbandono, quel sentirsi in caduta liberà in attesa del
tonfo che non arriva
Adamo, Eva e la loro poesia
Si smarrì per sempre
quella vostra poesia?
unico cenno di una
felicità probabile,
fugace dimenticanza del
dolore,
sospesa dimensione
dell’impossibile.
Incredula rabbia
devastò la geografia di
un’anima,
quando il silenzio
affondò la lama
nelle stimmate
dell’abbandono.
Lei… minacciosa
preda di una paura
atavica,
vittima incosciente di un
legame
che non poteva esistere.
Una poesia senza versi né
strofe
una poesia senza studenti
che la imparino a
memoria,
una poesia non
riconosciuta
dall’Unesco.
Eva l’ha cercata nel
dubbio
nel viaggio e nelle sue
colpe,
nelle scuse inviate e mai
recapitate,
Eva l’ha cercata nelle
minacce di Adamo,
nelle voci delle Sibille
e in un giorno
del calendario.
Si smarrì forse con
quella rosa rossa
di una serata estiva
spazzata dalle spire di
Narciso?
O fu il frutto di
allucinazioni
di un’Eva bambina?
Dimmelo
Adamo, dimmelo tu.
Prima di introdurre e
proporre al lettore la prossima poesia vorrei citare il Borges di Lezioni
americane “Gli antichi, invece, quando
parlavano di un poeta – un «artefice» – lo pensavano non solo come chi esprime
alti accenti lirici, ma anche come chi narra un racconto. Un racconto in cui
potevano esserci tutti i toni dell’umanità”, e nei toni dell’umanità non
può mancare la poesia civile, com’è giusto che sia, perché non c’è poeta vero
che non sia uomo/donna calato nella sua realtà, frammento -spettatore o
interprete poco importa- di un pezzo di storia e di tempo – da pag. 52
La cetra dell’aedo
Servitore di due padrone
di Gloria e Ambizione
si lasciò accecare
dai progetti altrui.
Arlecchino
prigioniero di se stesso
non colse
l’opportunità di vivere.
Amputò il candore
mutilò l’ascolto
bloccò il frinire
del Grillo Parlante.
Potè Dante volare
senza la sua Beatrice?
Bavaglio ai desideri
museruola all’anima
e tintinnare di denari
veri.
Se questa ricetta
è ora il suo credo
non c’è differenza
con la cetra dell’aedo.
Eccolo mercenario
strumento di sollazzo
pei nobili
che
bivaccano a palazzo.
E ancora da pag. 58
Nei sorrisi mediatici
Residuo di petrolio
nel cuore di un’ameba
si fa plastica nelle
strette di mano,
nelle rivalse di comari
ignoranti.
Plastica nei sorrisi
mediatici
collaudati per pedigree.
Plastica nelle strettoie
verbali
per saggiare
l’ingenua di turno.
Plastica, plastica
ovunque.
Ed
io... resto vetro.
È una silloge con una sua
precisa solidità, una pigna con tante squame, e tutte a custodire un frutto
-quanto è stato proposto sin qui è solo il piccolissimo assaggio di un sapore
che, assicuro al lettore, intenso e gustoso; poesia colta e non da meno intima
per quante intime corde tocchi, versi di nitore aperti alla speranza -come
sguardi che, carichi di troppo inverno, dipingono visioni e mattini di rondini-
e non per questo meno sofferti scorticati scorticanti. Ipotetico approdo è la
consapevolezza alta -del poeta ormai alto- che conosce e riconosce la sua
condanna: avrà solo traguardi parziali, piccoli caravanserragli dove poggiare
per poco il capo; e la sua irrinunciabile delizia: quant’è vitale riprendere
ogni volta il cammino!
Chiudo con versi che
rimarcano, come scritto all’inizio, il “cammino in corso” della Piccinno, ma
soprattutto il cammino del Poeta -e non a caso l’iniziale è maiuscola – da pag.
78
L’invisibile speranza
Scricchiola sulle rotaie
l’orizzonte
e io, nomade in viaggio
senza soste,
m’inerpico a nuvole mai
dome
per afferrare
l’invisibile speranza.
Rocambolesca corsa
mi si ritorse contro,
eppure insisto!
Quel filo perduto
del mio ingarbugliato
gomitolo
ha smarrito il principio,
ne serbo un lembo
intrappolato nella mia
matassa,
attorcigliato al dubbio…
e attendo
che mano esperta sciolga
i nodi del non detto,
districando il non visto
“difetto di fabbrica”
perché ne colga la
bellezza
della
trama imperfetta.
Angela Caccia