Angela Caccia scrive con forza magmatica. Questa è la prima fruibile
emozione che giunge dalla lettura delle poesie della sua ultima raccolta Accecate i cantori, pubblicata presso
l’Editore Fara di Rimini, quale vincitrice assoluta del Concorso annuale
Versi Con-giurati, edizione 2017.
Si aggiunga, in seguito, l’aria che ha
respirato e respira, oggi, attraverso gli occhi nell’antica terra di Calabria:
colonie greche, affacciata sul mare che ha visto le traversate delle
popolazioni provenienti dalle sponde care al poeta Ugo Foscolo.
Inevitabilmente tutta la presente raccolta, che ha radici nelle precedenti pubblicate, prende energie vitali dalla mitologia greca.
Inevitabilmente tutta la presente raccolta, che ha radici nelle precedenti pubblicate, prende energie vitali dalla mitologia greca.
Il primo mito è legato alla poesia
eponima: “(…) a sera / nella camera oscura del ventre / ricomporre i minuti
raccolti preziosi – poi – / ancora una volta accecate i cantori! / … che un po’
di futuro si faccia remoto” (pag. 26). Alla corte dei Feaci, dinanzi al re
Alcinoo, Demòdoco (il cieco narratore) canta le gesta di Troia e di Odisseo,
presente nella sala, risvegliandone la memoria sopita dal trauma della tempesta
marina.
Dunque questa è la forza del cantore:
riportare in vita la memoria sopita/ infranta di fronte alle tempeste della
vita.
L’oscurità della notte, vissuta dal
cieco cantore, svela quanto egli ha accumulato ascoltando le voci del popolo,
della gente di mare, degli stranieri approdati dopo lunghi viaggi in un mare inclemente.
Il buio della mente che non riesce a
recuperare le sue memorie, come si evince nei versi della poesia dedicata dalla
poeta a sua madre: “(…) Mi chiedo cosa Tu voglia – Dio – che / mi strappi di
dosso il suo nome / mi togli la sola cittadinanza che mi riconosca / la terra
da cui – staccata – m’è cresciuta l’anima / la pioggia che – in me – diluvia
bene e male” (pag. 37), è l’incombente preghiera che la Nostra rivolge a Dio,
qualunque sia il suo vero nome per lenire la sofferenza dello stato in cui
versa.
L’unica presenza paterna che si coglie
in tutte le composizioni è Dio: “(…) Dio che sa di madre / solo per ritrovare
in me il vecchio seminatore” (pag. 60).
Il mito del dolore e della sofferenza perpetrato sull’Io poetante e sul genere umano è riportato nel mito greco di Sisifo: “(…) che non sposta di tre passi il suo masso” (pag. 34). Percezione del dolore che viene raccolto e presentato al lettore più volte nella parola “sangue” in diversi punti delle composizioni.
L’io famigliare; la necessità del quotidiano che imperversa ad ogni risveglio; gli angoli della casa, gli oggetti, l’armonia felice delle persone che coabitano con la poeta; i profumi, la musica, la volontà di “ calare il piede / nella traccia buona / già calcata”, costituiscono il dialogo/ monologo voluto nell’incontro con gli occhi del lettore.
Il mito del dolore e della sofferenza perpetrato sull’Io poetante e sul genere umano è riportato nel mito greco di Sisifo: “(…) che non sposta di tre passi il suo masso” (pag. 34). Percezione del dolore che viene raccolto e presentato al lettore più volte nella parola “sangue” in diversi punti delle composizioni.
L’io famigliare; la necessità del quotidiano che imperversa ad ogni risveglio; gli angoli della casa, gli oggetti, l’armonia felice delle persone che coabitano con la poeta; i profumi, la musica, la volontà di “ calare il piede / nella traccia buona / già calcata”, costituiscono il dialogo/ monologo voluto nell’incontro con gli occhi del lettore.
Angela Caccia è il cieco
cantore minacciato dalle forze oscure del “male” contemporaneo che sacrifica la
verginità della “parola” / del verso, per ridurla a mera prosa, incapace di
sopravvivere alla polvere del Tempo: “ (…) nascere resta fedeltà alla cenere /
e – grazie a Dio – si muore… / ma fino ad allora / i sogni restano vigili”
(pag. 41).
Molteplici sono le emozioni che
emergono dalla lucida poetica della Nostra.
A noi tornano cari i sogni reali risvegliati nei versi che presentano il mondo contadino, oggi scomparso nelle fauci del cemento, rimodulato non nel ricordo tremulo ma nell’empatia del mistero delle sue millenarie origini come si coglie nei versi della Nostra: “Borghetto di campagna / (…) sulle soglie sguardi come corridoi / chiedono / cedono una semplicità che conosco, / (…) silenzi trasognati / tutto è come un grande cuore addormentato” (pag. 58).
Le similitudini animate nella raccolta danno la veridicità di quel sonno/buio in cui è calato il mondo ancestrale dei poeti che, come degli entomologi, collezionano farfalle affidandole alla “(…) disperazione degli spilli” (pag. 57) – Per traslato gli esapodi degli insetti sono paragonabili all’esametro greco ricercato nei versi di questa raccolta dalla poeta.
A noi tornano cari i sogni reali risvegliati nei versi che presentano il mondo contadino, oggi scomparso nelle fauci del cemento, rimodulato non nel ricordo tremulo ma nell’empatia del mistero delle sue millenarie origini come si coglie nei versi della Nostra: “Borghetto di campagna / (…) sulle soglie sguardi come corridoi / chiedono / cedono una semplicità che conosco, / (…) silenzi trasognati / tutto è come un grande cuore addormentato” (pag. 58).
Le similitudini animate nella raccolta danno la veridicità di quel sonno/buio in cui è calato il mondo ancestrale dei poeti che, come degli entomologi, collezionano farfalle affidandole alla “(…) disperazione degli spilli” (pag. 57) – Per traslato gli esapodi degli insetti sono paragonabili all’esametro greco ricercato nei versi di questa raccolta dalla poeta.
Veramente stupenda questa raccolta!
Bene ha scelto la Giuria affidandole il compito maggiormente rappresentativo di
un Concorso nazionale. Vere risultano le parole in quarta di copertina dove è
sintetizzato l’intero valore del canto che sommerge gli occhi dei lettori da
questo scrigno magnogreco: “Questo libro (…) vi scaverà a fondo con il suono di
immagini bellissime nella loro concretezza palpabile, con la poesia che si rivela
(assieme alla preghiera) forse l’unica modalità di accettare la parola fine,
(…) ad accogliere quella soglia abissale e ignota che sembra ingoiare ogni
senso, ogni parola.”
Vincenzo D’Alessio