un’amicizia
che ritorna
il gusto delle
ore assolate
quando si
implora la notte di
non pesare
presto sulle palpebre
di inverni
alla porta serrata:
era di
smeraldi il cumulo di
arterie che
ora imprigiona
muri inferriate balconi
il cancello
del cimitero e
un dolore
sempre acceso -qui-
dove non ha
ingresso il tempo
qui comincia
l’eterno che m’appartiene
folate di
passato remoto
con occhioni
biondi e treccine
il calco
originario del verso
e l’affetto
fedele alla parola
la mia sagoma
nell’ombra
dell’ulivo
liquida e ventosa
e questa
carne che
si farà terra
alla sua radice
è il paese -ed
io- un gatto che
torna a
ruzzolargli nel grembo
sulle gambe e
ritrovo
un antico lessico della gioia
il porto
addormentato che
mi tinge di
blu le mani,
il pensiero
che riconosce
l’onda e vi riposa