Dimostra una dolcezza e una
sensibilità spiccate la nuova raccolta di Angela Caccia "Il tocco abarico
del dubbio", Fara editore. Una poesia di estrema dolcezza, ma anche
gnomica e sapienziale, che esplora la vita e i suoi significati, fino a giungere
ad una riformulazione del concetto di sacro. La sacralità della vita viene in
questo modo sottratta al contesto religioso e riformulata in un senso tutto
profano ed esistenziale, in cui la dimensione onirica diventa il punto di
riferimento principale. Tuttavia ciò non comporta una separazione dall'elemento
reale, ma piuttosto una sua proiezione in un ambito più elevato,
sublimato.
Si tratta infatti di
una poesia duale, che alterna momenti di grande apertura comunicativa ad altri
più criptici ed enigmatici. Il verso di Angela Caccia spazia tra sogno e
realtà, tra speranze e abbattimenti, con immagini ora riferiti ad una dimensione
ora all'altra, come nella bellissima descrizione delle braccia allungate
dell'alba tese a segnare un'ennesima illusione di felicità, propria del finale
della lirica appunto intitolata "Le braccia allungate": "A chi
amo, tra un'eco e la voce, il mio amen, e le braccia allungate dell'alba",
dove le braccia sono sì quelle dell'alba, ma per metafora rimandano ad un
desiderio di liberazione che è proprio dell'individuo. Una voglia di elevazione
che coincide anche con la scoperta di paesaggi interiori, di spiritualità
emotive e sensitive nascoste nell'anima, in quel paese interno che la poetessa
disvela quando sostiene all'inizio di una poesia dedicata alla madre: "C'è
un paese in me che non conosci". Ritorna il senso di un'altalena tra gioia
e dolore che agli albori della poesia moderna Baudelaire aveva racchiuso nel
suo Spleen et Ideal, e che Caccia riesce ad evocare con un verso di grande
forza evocativa, affermando che è appunto l'ombra a permettere la luce:
"Ogni ombra, per quanto buia, segna il perimetro esterno della
luce".
A volte il lirismo
della poetessa si fa apertamente realistico. Si tratta di un realismo sociale,
legato a valori di solidarietà come quello ad esempio che caratterizza le
liriche dedicate agli immigrati di Lampedusa, in cui la poesia di Caccia presta
la propria voce ad una tragedia senza limiti che ancora l'Italia non riesce ad
affrontare in maniera organizzata. In generale, tuttavia, le storie e le
vicende altrui sono comunque intercalate nella raccolta in una dimensione
intimista a cui quasi tutte le poesie si rifanno, poesie che spesso pongono
l'accento sulle illusioni d'amore e di vita le quali caratterizzano l'animo
della poetessa.
Vi è a volte, tuttavia, un
bisogno di volo, di innalzamento (e viene ancora in mente Baudelaire e la sua
bellissima "Elevazione") che si cristallizza in una tendenza alla
fuga, o comunque all'elevazione appunto, ad un'irresistibile tendenza verso
l'alto, verso il cielo, come nel finale di una lirica in cui la poetessa
esclama: "E noi sopra le stelle", quasi a reclamare una dimensione
esistenziale superiore, richiamo che tra l'altro attraversa l'intera
raccolta.
Insomma si è alle
prese con una lirica ed una poetica tese verso verità profonde che sono le
verità indirette e nascoste del cuore, quelle che nascono nella solitudine
degli animi, una solitudine che Angela Caccia rappresenta poeticamente
attraverso immagini di rara bellezza, come la finestra illuminata nella notte
della lirica "Fantasie": "Lo sguardo su una cartolina, profana
il reticolo di falso, mi perdo nel notturno di un paesaggio, una carezza la
colatura della sera - quant'è quieta la luce di una finestra
accesa!".
Va inoltre
riconosciuto, però, che in Caccia domina anche la disperazione di vivere in
un'epoca fortemente antipoetica, dove la morte, come la vita, non è altro che
"un vago retrogusto, un rumore di fondo". E di fronte a certe
impossibilità dell'esistenza, alla fine la poetessa sembra adottare un piano
che mira alla riduzione del dato esistenziale. E' come un voler scomparire per
evitare dolori e delusioni. Ecco cosa scrive l'autrice in "Non ho un
titolo":
Scomparire in lenzuola candide di dimenticanze
tra pollini tiepidi
indolenti comunque fecondi
sperdersi nei pochi silenzi del giorno
così colmo ogni giorno di prole
piantumare di nulla le proprie orme
che spieghino almeno pace calma
sconfinare il proprio corpo in transumanze
di mente e cuore
osservarsi finalmente a galoppare
il tratto più etereo dell'orizzonte.
E' come se l'autrice
cercasse una soluzione al dramma esistenziale nella creazione di una sorta di
inconsapevolezza, o meglio di inesistenza a cui molti versi di Caccia fanno
pensare, come se lei stessa volesse esclamare: "Essere come se non si
fosse". Altrove dice: "E chiedi a me il senso della vita",
comincia così infatti una poesia rivelatrice, dove Caccia finalmente addita una
soluzione al marasma contemporaneo. non tanto in una risposta di saggezza
personale ed egoistica, quanto nella vita condotta assieme, in esperienze che
solo nell'unione possono condurre ad una dimensione superiore e salvifica:
"E chiedi a me / il senso della vita // a me / che ho mille risposte / e
nessuna […] un abbraccio questa notte d'estate […] restiamo insieme / ti prego
[…] e insieme / nell'ultimo spicciolo di notte / saremo noi l'aurora / gli
occhi puntati ad est / e il fiato corto".
Da questi pochi esempi
è evidente che si tratta di poesie che offrono una lettura profonda, ma nello
stesso tempo piacevole e coinvolgente. Poesie che si mostrano capaci di
indicare verità edificanti, ma anche di accompagnare nella dimensione
sensoriale dell'autrice, ricca di avventure metaforiche e romantiche. Tutto
questo si lega ad una difesa ad oltranza dei sentimenti duraturi, quelli che si
conquistano a fatica ma per lungo tempo, poiché è proprio della poesia
sottolineare profondità e longevità, perché la poesia, sostiene l'autrice, è
piuttosto uva che non fungo. Luglio 2015