Rosa Elisa Giangoia, una roccia della
letteratura italiana contemporanea; una casa e un paese, per quanti, come me,
trovano in lei un indiscusso punto di riferimento.
La poesia
d’apertura (Incipit) di questa nuova silloge della poetessa calabrese
Angela Caccia si imprime subito con rilievo nella nostra mente, fin dalla prima
lettura, per quel suo incisivo tono riflessivo e sapienziale, che dimostra
l’impegno dell’autrice a ricercare e a comunicare agli altri, attraverso
l’efficacia della parola poetica, il senso della vita: un senso imperniato
sulla dialettica tra la salvezza, garantita dalla Resurrezione, e la nostra
umana debolezza, che ci fa facilmente cadere nel tradimento, come quello di
Pietro, scandito dal canto del gallo. Correlativo oggettivo di questa tensione
(alla maniera di Eliot e Montale) diventa il “fruscio feroce di
ulivi ignari”, voce della natura, stravolta dall’incapacità di comprendere il
senso che misteriosamente pervade l’arco della nostra esistenza, dal nascere
“nella penombra di una grotta”, come “una scintilla”, fino al morire che
diventa l’”incipit di un’altra storia”, affermato con fiducia dalla poetessa.
Tensione dialettica ripresa in Giardino, con forza nel verso
“Storia perenne amare – tradire”, in una lirica che si conclude nella
luce della speranza.
Entro quest’arco sta tutto il vivere,
lungo il quale vengono tracciate linee esistenziali che ritmano la ricerca del
senso, il conquistarlo ed il perderlo (“Ti perdo tra i fili / ai limiti d’ogni
pensiero Ti ritrovo / e piovono note senza musica”, in Forse una
preghiera), raffigurato con la metafora del viaggio (Senza titolo),
per approdare “dove la coscienza si fa porto”, sempre “nell’insana nostalgia
del centro” (Il ciottolo). Ma l’impegno della poetessa è soprattutto
quello di includere e sistemare la vita in quest’arco, recuperando tutto ed
orientandolo verso il centro ed il valore. E’ il “chiarore di vita che si dona
per attimi”, che deve farsi “chicco di grano che torna a cadere nel solco” (Ci
sono giorni), in cui anche le Parole in fuga della
sensualità possono trovare una loro giusta collocazione, perché la vita è anche
e soprattutto Nelle cose dell’amore e nei sentimenti,
che comprendono la continuità della fedeltà matrimoniale (Ogni giorno)
ed i momenti forti dell’esperienza della maternità e della
conseguente crescita ed educazione dei figli (Sapevi di bozzolo, Gli
occhi negli occhi), che si amplia ad una riflessione, in consonanza, sulla
maternità di Maria (Dal Vangelo di Maria). Ma la poesia è anche
stabilire legami con il padre defunto (Dal tuo silenzio) ed esprimere la
malinconia per lo scivolare della madre nell’inconsapevolezza di una vecchiaia
che l’isola e l’allontana (Altrove) dai rapporti d’affetto.
La ricerca poetica di Angela Caccia è
finalizzata all’individuazione di quanto è autentico per l’uomo (“Sconfessa il
fasullo del mondo / che il giorno ostentava / ma attesa voluta o temuta / dal
falso si affranca” in Frammenti ), poiché solo attraverso
l’efficacia e la pregnanza della parola poetica l’uomo “raccatta frammenti di
sé che / il giorno ha disperso”). La Poesia è un interrogarsi,
un andare a fondo, un mettersi in discussione con difficoltà e fatica, tanto
che la poetessa può dire: “così / consumo le mie nocche / alle porte serrate
della coscienza”. In quest’ottica anche l’esperienza della preghiera è fatica e
difficoltà nell’afasia di fronte al divino e all’eterno (Due parole).
A queste poesie d’intensa tensione
esistenziale si affiancano liriche di più riposata osservazione (Settembre e, Se
fosse, E’ di marzo) e altre, come L’indistinto, in
cui elemento rilevante diventa “l’alba”, che “incede” e che si fa simbolo di
speranza e fiducia nel futuro che si rinnova ogni giorno. Quest’apertura
fiduciosa alla speranza contraddistingue anche alcune liriche di carattere
sociale e civile, come I giorni sottili, in cui il pensiero
dell’autrice va al terremoto in Emilia nel 2012, con un sofferto pensiero al
mistero del destino, pur sempre sostenuto da una speranza di salvezza (“se il
Gòlgota profano / dà resurrezione”), e Lettera alla mafia, in
memoria dei giudici Falcone e Borsellino, anche qui nella fiduciosa speranza di
superamento di una situazione lacerante, espressa con immagini floreali che
alonano il pensiero di un’ulteriore positività (“se sotto le foglie marce /
cova il fiore / per cento bocci feriti / a cui recidi il capo / mille girasoli
si volgeranno al sole”). Ed ancora cronaca, ispirata all’alluvione in Liguria
nell’autunno del 2001, quando “una pioggia impietosa ha tumulato / la Liguria”,
fino al canto altissimo A Giovanni Paolo II, “un uomo dipinto di
cielo / che si macchiò di terra / e fu il racconto di Dio.”.
Quella di Angela Caccia è una poesia
originale nell’espressione, elaborata e creativa, che
ricerca modi sempre nuovi ed efficaci di parlare delle cose della vita, in una
prospettiva aperta alla speranza trascendentale, una poesia che ha i suoi
elementi forti di ispirazione letteraria in Celan e Borges, ma anche in
un’attenzione particolare per Davide Rondoni a cui è dedicata la lirica Di
te conosco e che è l’autore dell’acuto e penetrante saggio
introduttivo (Paradosso poetico).
Rosa Elisa Giangoia
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