Anna Maria Bonfiglio, un nome importante nel panorama
letterario nazionale e internazionale.
Parole generose le Sue. Traspare il fine poeta nella penna esperta
del critico.
Mi commuove sapere che,
entrambe, prediligiamo dei versi, Dal Vangelo di Maria. Nella sequela di
immagini sento la trasposizione di sensazioni 'molto donna', in quel gioco del detto
e non detto in cui si traduce il nostro modo di amare.
... GRAZIE!
Una raccolta di versi molto sentita,
questa di Angela Caccia, un lavoro ispirato e curato da leggere con attenzione
e sentimento. Perché la poesia di questa autrice “racconta” la vita, e più
ancora quella vita che appartiene a tutti, con lo sguardo di chi sa coglierne
la bellezza e l’asprezza. Un itinerario che raggruppa tante fasi e tanti temi:
la natura, la società, gli affetti, la spiritualità, in una parola l’animus
della poetessa. Angela Caccia sa curvare la parola fino a sottometterla alla
propria personale espressione, senza troppi preziosismi il suo poetare si
stacca dall’usura di quel “parlato” che ha invaso tanta poesia per virare verso
una dizione asciutta ed essenziale.
La poesia è per la Nostra quell’incanto che
la trascina, per poco o molto tempo, fuori dal quotidiano per ricondurla subito
dopo allo stato di “ciottolo assetato di
sale” che la inseminerà di nuova linfa poetica, il suo “chicco di grano che torna a cadere nel solco”.
L’autrice evoca il concetto di poesia come “grazia” necessaria alla vitalità,
imprescindibile dono divino. Personalmente ho trovato pregevole il testo Dal Vangelo di Maria, un narrato infuso di
delicata forza poetica nel quale la mistica Mater Dolorosa è l’archetipo delle
madri di carne e sangue. Angela Caccia è voce poetica che sa farsi ascoltare e
da lei ci aspettiamo ancora molta buona poesia.
Anna Maria Bonfiglio
DAL VANGELO DI MARIA
Era un bosco di mandorlo
un sole senza raggi gettava l’ultimo
chiarore il primo rintocco del tramonto.
Intrecciavo collane
alla mia bambola
anche lei bambina
sposa, quando un nido
tra i rami
aggrovigliati m’accese tenerezza:
sarò moglie capace
all’uomo mio, terrò il
focolare sempre
acceso e grappoli di cipolle
ed erbe secche ai
muri.
Dall’ombra una
scintilla poi un bagliore…
‘In te abiterà Suo figlio, vivrà e si farà
storia!’
Nelle orecchie il
battito era un tonfo, quel
brusio fragore.
All’angelo resistette, non io,
ma come un dolore
amaro, senza nome: Giuseppe
avrà il nocciolo di
un frutto già mangiato?!...
‘Riceverà luce di fede e sostegno di
ragione’.
Nelle mie arterie
scorreva già l’oceano
ne accolsi la
potenza, non scorsi il suo fondale
e chinai il capo.
Così fui madre.
Così fui culla e
figlia dell’Amore.
*********
Sui muri crespi,
chiari di luna, tremavano
le sagome dei
palmizi. Sfumavano le voci del
villaggio mentre
correvo a lui, l’amato,
ignaro di ogni
fatto.
L’ombra mia accanto
ad un cespuglio, la sua
di uomo sconfinato
la raggiunse, l’accostò a sé
l’avvolse… e fummo
l’ombra del più struggente
abbraccio.
Sarà grazia o
colpa?... in quell’abbraccio sciolsi
la paura e
raccontai di un terrore che m’artigliò
il petto, dello
stupore che gelò il pianto, poi di
un sorriso: Dio mi
cresceva in grembo!
Lui non parlò – io … chinai il capo.
Non mi bastò il suo
tacere, non vi era
cuore libero e
liberato nella Sua parola.
Così fui donna sospettata, un pezzo di dolore.
Fui solo madre scelta e madre per scelta
il Suo guscio, la
figlia prediletta dall’Amore.
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