Mi
convinco sempre più che una nota di lettura -o recensione che sia - non è altro
che il tentativo di trovare il bandolo di fili sospesi ma solo apparentemente.
Di fatto, sono tenuti insieme da
una parola, riflesso che assomma un passato più o meno recente; una parola
chiave che li lega e che si ripropone, in modo più o meno inconscio, come un
mandala dalle tante sfaccettature.
Impariamo da soli con questi
corpi
rappresi alle vertebre
i dettagli dei nostri abissi
rivelano chi siamo
ombre incustodite tra atomi dispersi
e ancora da pag 27
Caviglie trattenute sul flutto
che scorre
Passerà questo tempo così come si riproduce
nel profondo un sempreverde e ramifica
in ogni incisione di un cortile ignorato
Un dio errante con ali distese reggerà
il brusio della vita che cede e anche
se gli occhi non riescono a vedere
una feritoia di luce schiude un volto
prima della parola a metà strada
quando non c’è fenditura di scoglio
nella brughiera desolata
in cui custodire amore
ma vale tenere le mani
aperte e non lasciarsi
cadere anche se i sogni
ora sono realtà sommerse
nel gioco a mosca cieca
con il sangue dei vivi
Resistere è il nuovo confine
Con dita sparse si scava dappertutto
nella passione del bianco
anche se il cielo tra fogli
cammina sospeso sul ciglio
Rompo gli argini per vorticare
nell’insonnia affilata delle mie
migrazioni finché una forma
del vento nei capelli leggera
possa reggere le parole con ardore
Così per quanto non salvino
in ogni foglio le parole crescono
il nome che ci detiene
come se il vero margine fosse questo nostro nome che, a sua volta, identifica un corpo e un confine e, quindi, il desiderio di andare oltre, divincolarsi, come quando ci si lascia rapire dall’incanto e, transitando dalla meditazione, si approda alla contemplazione poetica: passaggi che Maria Allo compie con molta, tanta destrezza.