martedì 17 gennaio 2023

Da POETI DEL PARCO - recensione di MAURIZIO ROSSI


 Da POETI DEL PARCO 


C’è una sorta di ossimoro nel titolo che esprime metaforicamente anche lo sguardo poetico e quell’attenzione alle cose, tipica di un/a poeta. Un alveare nel suo insieme non dorme mai, sembra assopito perché di notte o in particolari condizioni di tempo, le operaie non escono per raccogliere il nettare; eppure, al suo interno ci sono sempre api in fervente attività. Un po’ quel che accade nel mondo degli umani, anche in periodi apparentemente oscuri.

Così nella raccolta di Angela Caccia“…I ricordi non muoiono/ s’addormentano vigili/ Io so di lei/ la ricordo!…” in un dialogo di sguardi con una foto (forse della madre?) in uno “sparigliare” e nello “sciamare di presenze” ferve e si esplicita un mondo, pur nella quiete attenta dell’osservare e dell’osservarsi.

Avesse un rumore la solitudine/ sarebbe di silenzio/ e quello di una stanza d’albergo non dà eco/ eppure/ avanzano tamburi al suono di neve” Quiete e silenzio, così diversi, quanto lo sono il tempo e i giorni; ma la poesia non spiega, non descrive, la diversità: replica domande “Sentinella/ quanto resta del giorno?” e ancora “quale tempo/ s’accorgerà che ce ne siamo andati?” .

La poesia di Angela Caccia “affastella” pensieri e immagini, in uno stile originale, apparentemente mai chiuso, come la notte che non è fatta solo di buio. Sembra che lei viva  in un tempo “che si è fatto breve” – il kairòs evangelico, ma anche l’esistenza contratta dal web e dai mezzi di trasporto superveloci – eppure si affretta, sembra, a“sbirciare la pagina che segue” per voler capire se i desideri contano più di quello che non abbiamo “se la nostra è più fame di domani che digiuno”; se ci può ancora rendere felici un tempo che compensa con la piacevolezza esteriore di luoghi e situazioni sia la sua avarizia di promesse, che la nostra povertà di attese.

Né mancano nella sua poesia fughe di immagini ardite che riecheggiano miti platonici – il desiderio che sia l’ombra a guidare il corpo e non viceversa – per esprimere la solitudine e la “nudità” di chi scrive “La verità/ è che si entra indifesi nel verso” dove ciascun istante di suono e senso contiene l’impronta di ogni “sé disperso” i tanti toni dell’io e delle umanità perduteAngela Caccia sa bene che “dislocare vita sul foglio” per dare consistenza alla poesia e espressione al ricordo, è impresa ardua  e spesso si è traditi dalle stesse parole che si tramutano in  “pietre di inciampo”, in scandalo; e tentare comunque una forma – come più di qualcuno fa –  non è sua intenzione, lei così  schietta e profonda, così esigente in sé.

Per l’Autrice poetare è difficoltà di “vuotare le parole” come otri da versare fino al loro “lato ghiacciato” ma senza farsene sommergere né compiacersene: il dolore ha spesso un gusto dolce, al quale non si vuole rinunciare. Così lei conserva la “memoria del bianco” – la chiarezza, la luce – il foglio sul quale si può ancora scrivere il diario del ritorno, una traccia minima che pure fa uscire dal buio dell’assenza: il ritorno è la memoria, dove entra il tempo a dare colori nuovi all’infanzia, ma anche a ricordare che “l’orco non se n’è mai andato”.


Verrebbe di danzarla

quest’aria che inizia e si fa

spiffero Verrebbe

da sbirciare la pagina che segue

capire se la nostra

è più fame di domani che digiuno

se attende rivelazioni – a settembre

le nuvole s’ammatassano –

verrebbe da chiedere all’Angelo

colpevole dei veleni di ciò che passa

– Sentinella

quanto resta del giorno?


Se vivere

è questa inerme militanza

al bene e al male i versi

non avranno mai la forma di

un amore privato

S’impara tutti per prossimità

e tutti le stesse le cose:

vuotare i minuti insidiati

riempirli del sole a disposizione

trovare i giorni che mancano a

riallacciare la vita alla vita

isolare la pozza senza luna

 

Mi piacerebbe

per una volta

srotolare l’ombra in avanti:

fosse lei a pencolare il corpo

 

La verità

è che si entra indifesi nel verso

ad ogni semitono

il timbro di un sé disperso

 

Dislocare vita sul foglio le dà

spessore ma un’accozzaglia di parole

non trova il bandolo – ovunque

solo pietre d’inciampo

 

Tutto sa di tenerezza e tutto è distanza

non è facile togliere il silenzio alle cose

 

– … smalizialo allora il verso

tenta l’approdo qualunque! – ma

la voce si incrina

 

Dicono sia la perdita

la misura dell’amore e a me resta

un pezzo di vita mancata dalla

parte del buio


Ti direi che è facile vuotare

le parole conoscerne il lato

ghiacciato

o l’alveare assopito – alcune

a deviarne una sillaba

tornano crepe – bisognerà

attendere che il sole le asciughi

scongiurare solitudini in cattività

gli alberi in lutto ostinato e altre

ghiottonerie del dolore – tu

conserva sempre

memoria del bianco

un diario minimo del ritorno