Da LUCANIART MAGAZINE - Recensione di Maria Allo
Ti direi che è facile vuotare
le parole conoscerne il lato
ghiacciato
o l’alveare assopito – alcune
a deviarne una sillaba
tornano crepe
(p.59)
Per fare, come per comprendere l’arte, una cosa è, prima di ogni altra, necessaria: avere conservata in noi la nostra infanzia, filtrata dal recupero memoriale che tutto il processo della vita tende, d’altra parte a distruggere. La nuova raccolta poetica di Angela Caccia, L’alveare assopito,rispecchia subito il rapporto tra maturità e infanziae tra madre-figlia che si configura come emblema dell’universo femminile, ( “Lei – io – / mi guarda vispa da una foto/ non so chi delle due /sia più curiosa dell’incontro” “…vorrei rassicurarla/ che i ricordi non muoiono/ s’addormentano vigili/ Io so di lei / la ricordo!”)capace di mantenere un forte legame con le proprie radici e, in forma di confessione, capace di liberare i lati oscuri dell’anima, dando loro quella forma razionale che sola può fare dal caos dell’inconscio.”Avesse un rumore la solitudine/ sarebbe di silenzio/ e quello di una stanza d’albergo non dà eco/ eppure/ avanzano tamburi al suono di neve/ Chiusa la porta nessun segno a chi sei/ a chi eri – “(p. 21).La riflessione,prendendo spunto da un episodio vissuto,mostra, attraverso la sensazione dell’autrice, come sia possibile far parlare le cose che ci circondano filtrate in modo che la realtà interiore e quella esterna si mescolano e il confine tra io e mondo, come accade nella poesia simbolista, diventa estremamente labile.
L’opera rivela dunque una prevalente propensione a un simbolismo di natura psicologica, nel senso che le immagini utilizzate consentono di rivelare strati profondi della psiche, segni dunque di un linguaggio che scruta le profondità della coscienza e contiene una meditazione intrisa di amarezza sulla bellezza delle cose che non dura, sul tempo, sulla vita che scorre, sulle gioie non godute e rimpiante in età adulta :“tutti e insieme portiamo l’attesa / del giorno come un dolore inseparabile” (p.23).Come per Van Gogh, il paesaggio non è più avvertito come un dato di realtà esterno all’artista, rappresentabile oggettivamente, ma come una sorta di proiezione dell’anima: “Questa finestra ora / incupita era un Van Gogh/ ha fatto presto il vento/ d’aprile a zittirla la primavera – lei/ che già squillava sui becchi degli uccelli” (p.26). Davide Zizza, nella prefazione, scrive: “La crepa che la poetessa rappresenta, anzi è, è quella di ognuno, per cui l’altro, ci insegna Lévinas, ci riguarda”. Risulta infatti predominante , in tutta la raccolta, l’esigenza dell’autrice di porsi in armonia con il tutto e stabilire radici solide della propria identità per dare un senso ai frammenti sparsi del mondo esterno: ”Accanto la sua ombra è lei la luce/ che si staglia nel tempo che non c’è / verrebbe di voltarla / quella foto da cui sciamano presenze/ le voci che da qui non si odono più”(p.15) o “Scrivo e una parte di me continua a stare all’erta/ potresti chiamarmi per/ un po’ d’acqua – l’altra/ viene subito dopo/ ed è di carne lacerata”(p.60).
Coesistono nell’opera due sguardi, uno della leggerezza,
rivolto alla quotidiana realtà dei paesaggi, e l’altro della gravitas e
dell’aspra realtà dell’esistenza.” Lascia che la parola torni
insonne/ che il cuore si riconcili alla pietra/ Poesia/ è ciò che non è
accaduto/ e calò il silenzio/ come unica forma di eloquenza” (p.53). Le soluzioni stilistiche adottate danno la misura
della capacità di Angela Caccia di maneggiare con perizia gli strumenti
dell’espressione poetica, sia che segua la via dell’innovazione sia
che guardi alla lezione del passato e nell’ avventura della parola
poetica trovalo strumento che risponde a un’esigenza vera, un mezzo del tutto
consonante a quel suo bisogno di introspezione che prende forma nel linguaggio
della poesia:“tu/ conserva sempre/ memoria
del bianco/ un diario minimo del ritorno”.
Maria Allo
Nessun commento:
Posta un commento
se vuoi, di' la tua...