Ieri ero a Roccabernarda. Invitata da
un’amica, Teresa Gallo, per “mostrarmi” in carne e ossa -ahimè, più carne che
ossa! – ai suoi alunni che, avendo seguito nell'anno un laborioso corso di poesia, ora sono convinti che esistano solo poeti
morti.
Di fatto, quelli laureati sono per lo più defunti, ma di viventi ne esistono eccome.
Io, collocata tra questi indegnamente, per qualche storta sillaba riuscita, ma
soprattutto per l’affetto di un’amicizia e per la vicinanza dei due territori,
Roccabernarda e Crotone dove risiedo.
Ci ospita una
stanza chiamata biblioteca dov'è rimasto un sapore di libri -una sorta di pensatoio come
quello indicato da Aristofane nelle Nuvole-, io seduta al centro, due insegnanti -Teresa
Gallo e Rosa Palma Iaquinta- e loro, i bambini della IV-A, in semicerchio: occhietti
che mi frugavano ovunque. Con garbo, uno alla volta mi porgono il benvenuto, alcuni
mi anticipano che hanno delle domande. Di fatto, un terzo grado nel corso del
quale ho sentito – considerato l’uditorio ultra minorenne- tutta la difficoltà
di esprimermi su argomenti come creatività ispirazione inconscio infinito e
compagnia a briscola.
Ballonzolando un po’ sul sediolino hanno
avuto la pazienza di ascoltarmi sino alla fine; uno spettacolo di bocchette
aperte e occhi sgranati quando mi servivo di aneddoti colorandoli di
favoletta; cercavo di coinvolgerli con domande ed era una corsa di mani alzate. Lo strabiliante erano gli sguardi: densi, continuavano a bermi. Per certo,
non avranno compreso appieno i concetti, ma si avvertiva in loro uno
spazio molto ben lavorato e, prima o poi, pronto ad accoglierli. Alcuni hanno
declamando miei versi: credetemi se dico che avrebbero messo al tappeto
attori che si ritengono professionisti -di fatto, cani.
Non so
spiegarvi la bellezza di questo manipolo di freschezze. Qui non si distingueva
il figlio del professionista da quello dell’operaio; tutti avevano ben chiaro
che qualcosa in loro affratella, va maneggiata con cura, nutrita con costanza; che
c’è una vocina da ascoltare per camminare la strada giusta, che senza quella
non si diventa uomini e donne del proprio tempo. Lasciatemelo dire – non avrei
titolo, non sono insegnante ma, in me e per me, parla l’alunna bambina di un
tempo e la madre di dopo- non è cosa da tutti insegnare.
Anche se professione,
resta la missione specifica di chi ha imparato che CURARE è voce del verbo AMARE.
Buona o cattiva scuola, il vero insegnante sa che non è chiamato a raffazzonare
un gomitolo di nozioni nell'alunno del momento, ma a diventare un pezzo d’anima nella storia di un uomo.
Chi non è in grado di tali fatiche e di
cotanta vetta, si faccia da parte!
Volevo raccontarvi
di una meraviglia e l’ho fatto.
Una di
quelle in cui inciampi e ne apprezzi il ristoro perché lenimento a qualcosa di diametralmente
opposto qual è la delusione di questi tempi: non si capisce che fine abbia
fatto l’autorevolezza genitoriale, la dignità di un insegnante, quale alambicco
sia questa scuola che sarà per sempre vittima e carnefice, se non è in grado di
cancellare il bullo nel ragazzo e distillarne l’uomo.
In tempi
come questi, una meraviglia fa ben sperare.
Si aggiunga
che Roccabernarda è paese difficile dove sono marcati i due fronti: giustizia-legalità
e non, terra di lotte reali con uno dei due contendenti che vive solo dell’ombra.
Ciò che è stato fatto grazie ad un’insegnante, è grande e meritevole a
prescindere, ma in una realtà come quella appena descritta, diventa qualcosa di
superbo: il messaggio buono si fa voce in un bambino, e il bambino si fa buon
seme nella famiglia.
Esco dalla
scuola.
Due mamme attendono la fine della lezione per ricondurre a casa la
figliolanza
“Sapeste quant’erano elettrizzati
i bambini all’idea di incontrarla! …”
Ho sorriso: sapessero
loro la mia gratitudine!...
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