È poesia di coscienza, termine
inflazionato che si apprezza ancora nella sua etimologia: cum scire, un sapere insieme
che non prescinde dall’altro in cui il poeta, se non è ben calato, si
approssima come al suo prolungamento più naturale. Legittima o dovuta,
l’approssimazione, poco importa, è questione morale che non tocca il poeta: il
verso è il suo modo di abitare, cercare e trovare apertura al mondo.
A voler essere precisi, è poesia di adattamento
della coscienza a qualcosa che solo impropriamente si
chiama dolore, più pertinente -umano, sereno- il montaliano male di vivere, una zavorra per i più, l’elefante rosa che tanti preferiscono –si illudono- ignorare,
una sorta di cassetta degli attrezzi per il poeta: ogni occasione
può farsi piombino, sonda, valido scandaglio dell’inesplorato che ci riempirà
fino la morte.
È poesia dalle braccia tanto aperte
quanto preoccupate nello sforzo di dedicare a quella approssimazione il suo
specifico abbraccio, lo conferma il minuzioso svolgersi del pensiero nel verso,
come a non voler far torto a nessuno, un pittore fauves che dosa mirabilmente
di colore il suo pennello.
Se è vero –parodiando Groddeck- che
non è tanto il lettore, ma è il buon libro ad analizzare noi, la produzione di
Bregoli è una sorta di battistrada ben conscia che l’umano avrà mille
sentieri per giungere a meta ma la sua poesia è tra le strade più luminose. (AC)
QUESTIONI GIURISDIZIONALI
Scale. Ne sale
gli assiti
poco prima sconosciuti, indovina
androni, appartamenti dalle targhe
impolverate d’anni
e se bussa a quelle porte ne esala
a stento dalle serrature un esile
fumaiolo di polvere.
Stagna acqua dalle gronde,
più oltre rade un fruscìo di catene
quel che resta d’un cane in agonia.
poco prima sconosciuti, indovina
androni, appartamenti dalle targhe
impolverate d’anni
e se bussa a quelle porte ne esala
a stento dalle serrature un esile
fumaiolo di polvere.
Stagna acqua dalle gronde,
più oltre rade un fruscìo di catene
quel che resta d’un cane in agonia.
A chi mai
servisse quel censimento
era liturgia di pochi eletti
apprendere, la dovizia d’appunti
il puntiglio anagrafico
a quali arbitri ambisse, s’era solo
la disossata spunta degli assenti.
Dopo il disastro ai reattori, lo sgombro
i più savi erano migrati a nord
sui pianori, tra i boschi di betulle
grati del contendere arbusti alle alci.
era liturgia di pochi eletti
apprendere, la dovizia d’appunti
il puntiglio anagrafico
a quali arbitri ambisse, s’era solo
la disossata spunta degli assenti.
Dopo il disastro ai reattori, lo sgombro
i più savi erano migrati a nord
sui pianori, tra i boschi di betulle
grati del contendere arbusti alle alci.
Si dice che chi
paghi dazio e assenta
o si lasci estorcere sconfessioni
si aggiudica la nuda proprietà
di queste sue macerie, il privilegio
di smemorare, diritto d’espatrio.
Indugia leggendo anche il suo, di nome
su quelle liste logore,
dubita a doverne certificare
esistenza, ragione o suo perimetro.
Potrebbe evaderne
uscirne illeso per vizio di forma,
tuttavia si vista, si legittima
cede a quel giogo.
o si lasci estorcere sconfessioni
si aggiudica la nuda proprietà
di queste sue macerie, il privilegio
di smemorare, diritto d’espatrio.
Indugia leggendo anche il suo, di nome
su quelle liste logore,
dubita a doverne certificare
esistenza, ragione o suo perimetro.
Potrebbe evaderne
uscirne illeso per vizio di forma,
tuttavia si vista, si legittima
cede a quel giogo.
Finalmente la
vita
si sarebbe accorta di lui.
*
IL CONDOMINIO AZZURRO
si sarebbe accorta di lui.
*
IL CONDOMINIO AZZURRO
Grandeggia un po’
più inquieto tra le spoglie
di casupole sperse alle campagne,
un monolito di cemento grezzo
che non vale la pena verniciare.
Ai piedi calza qualche stinta insegna
Mariani clinica veterinaria
la pizzeria d’asporto, il bar Sabbia
per illudere a non sai quale mare.
E tutto ha un senso asciutto di decoro
che non ammette indugio di colore,
solo le tapparelle sono azzurre
a non negare un angolo di cielo.
di casupole sperse alle campagne,
un monolito di cemento grezzo
che non vale la pena verniciare.
Ai piedi calza qualche stinta insegna
Mariani clinica veterinaria
la pizzeria d’asporto, il bar Sabbia
per illudere a non sai quale mare.
E tutto ha un senso asciutto di decoro
che non ammette indugio di colore,
solo le tapparelle sono azzurre
a non negare un angolo di cielo.
Gli striminziti
spicchi dei balconi
sono poltrone messe in prima fila
sulle smancerie del Resegone
se si scrolla di dosso troppe nuvole.
Così succede che, per caso o errore,
qualche incomodo sbuchi dalle camere,
una vecchietta che sbanda sui tacchi
una badante russa con la pipa
quattro graziose all’incanto, un bimbetto
che pare scappato dai Martinìtt.
Dettagli che stonano, intrusi od angeli
nella luce sognante d’un Magritte.
sono poltrone messe in prima fila
sulle smancerie del Resegone
se si scrolla di dosso troppe nuvole.
Così succede che, per caso o errore,
qualche incomodo sbuchi dalle camere,
una vecchietta che sbanda sui tacchi
una badante russa con la pipa
quattro graziose all’incanto, un bimbetto
che pare scappato dai Martinìtt.
Dettagli che stonano, intrusi od angeli
nella luce sognante d’un Magritte.
Alcuni narrano
che dopo l’una
nelle notti che brandiscono vento
– ma non sono da credere quei soliti
scavezzacollo sbronzi perdigiorno –
sulla pelle grinzosa di quei muri
si schiuda una pupilla color tuorlo
e in un trambusto di chincaglierie
il condominio si lucidi a festa,
in uno smalto intatto di maioliche
su tutta la facciata un solo palpito
balugini di quel suo cuore azzurro.
L’istante dove tutto si può assolvere.
nelle notti che brandiscono vento
– ma non sono da credere quei soliti
scavezzacollo sbronzi perdigiorno –
sulla pelle grinzosa di quei muri
si schiuda una pupilla color tuorlo
e in un trambusto di chincaglierie
il condominio si lucidi a festa,
in uno smalto intatto di maioliche
su tutta la facciata un solo palpito
balugini di quel suo cuore azzurro.
L’istante dove tutto si può assolvere.
Non dura che
l’eterno di quell’attimo
che ci si trova già distratti e capita
d’inesorabilmente dover perdere.
Poi scocca un altro giro di lancette
e sgomita nei fianchi un nuovo giorno
uguale agli altri, la sua màcina onnivora.
*
FOSSE POESIA
Fosse poesia potrei indugiare
su qualche vezzo cromatico, un radere
di luce tra capelli e volto, indulgere
a un virtuosismo lirico, un pacato
trasgredire metrico, i trucchi buoni
che lusingano in una lana di fiato
stemperano la voce che s’aggruma.
che ci si trova già distratti e capita
d’inesorabilmente dover perdere.
Poi scocca un altro giro di lancette
e sgomita nei fianchi un nuovo giorno
uguale agli altri, la sua màcina onnivora.
*
FOSSE POESIA
Fosse poesia potrei indugiare
su qualche vezzo cromatico, un radere
di luce tra capelli e volto, indulgere
a un virtuosismo lirico, un pacato
trasgredire metrico, i trucchi buoni
che lusingano in una lana di fiato
stemperano la voce che s’aggruma.
Ma questa scena è
minima, assoluta
non si concede appello, assoluzione.
Lui siede agli scalini, tra i piccioni
le gambe lacerate dalle piaghe
intruso tra quei cenci, qui recluso
in un rettangolo di cicche, di sputi
lo sguardo arrovesciato su detriti
di storie, ciò che ne resta tra le unghie
sudice, un bicchiere, stente monete.
Chiede nuda evidenza del suo esserci.
non si concede appello, assoluzione.
Lui siede agli scalini, tra i piccioni
le gambe lacerate dalle piaghe
intruso tra quei cenci, qui recluso
in un rettangolo di cicche, di sputi
lo sguardo arrovesciato su detriti
di storie, ciò che ne resta tra le unghie
sudice, un bicchiere, stente monete.
Chiede nuda evidenza del suo esserci.
E non serve una
poesia, un altro alibi.
*
*
ARBITRO
DEL MINIMO
Un’altra fila
svetta in tangenziale
una a una le auto brave s’inanellano
nella multicolore collanina
che si sciorina lenta lenta al bivio
di questa nuova uscita d’occasione.
Arese, nuovo centro commerciale.
La stessa cricca di marchi seriali
gli Zara, gli Intimissimi, i Mc Donald’s
Kasanova che sfodera padelle
Pandora che rispolvera il suo vaso
per chi non è di casa ai Compro Oro
lo smartphone che fa casta, fa tribù.
una a una le auto brave s’inanellano
nella multicolore collanina
che si sciorina lenta lenta al bivio
di questa nuova uscita d’occasione.
Arese, nuovo centro commerciale.
La stessa cricca di marchi seriali
gli Zara, gli Intimissimi, i Mc Donald’s
Kasanova che sfodera padelle
Pandora che rispolvera il suo vaso
per chi non è di casa ai Compro Oro
lo smartphone che fa casta, fa tribù.
E fa invidia la
razza sai di chi
rimane a terra, o controsterza con
debita grazia, alligna a bordo campo
ginestra tra asfalto e polvere.
E s’accontenta di remare a margine
nella reduce ritrosia d’indole
d’essere asola ad arbitro
del minimo, di ciò che tutti scansano.
Fa invidia chi desiste, chi s’avvale
del diritto di renitenza al consono.
Quelli che niente ha prezzo, tutto vale
tanto più se è vile. Quelli che pèrdono.
rimane a terra, o controsterza con
debita grazia, alligna a bordo campo
ginestra tra asfalto e polvere.
E s’accontenta di remare a margine
nella reduce ritrosia d’indole
d’essere asola ad arbitro
del minimo, di ciò che tutti scansano.
Fa invidia chi desiste, chi s’avvale
del diritto di renitenza al consono.
Quelli che niente ha prezzo, tutto vale
tanto più se è vile. Quelli che pèrdono.
NOTA
DELL’AUTORE
Gli uomini (o la loro ipotesi) riporta
il titolo della prima sezione del mio nuovo lavoro “Zero al quoto” di cui è
prevista la pubblicazione a Marzo 2018 per i tipi di Puntoacapo.
Assistiamo infatti ad un sempre più
progressivo processo di spersonalizzazione dell’io che si dissolve nei
paradigmi preconfezionati della nuova folla mediatica e virtuale, in cui il
nome rimane semplice etichetta tassonomica perdendo la propria capacità di
identificazione e nominazione di un’individualità unica ed irripetibile.
Ciascuno di noi diventa quindi il proprio lui o lei generico ed indeterminato,
spossessato della propria esistenza come possibilità che si concreta essendo
pienamente vissuta. Primo piano e sfondo si confondono e si sovrappongono per
dissolversi reciprocamente in vite frammentate, scorie d’universo.
Fare poesia dunque come testimonianza,
passaggio di testimone che includa la comunità di tutti i passati e futuri
attori dell’agone poetico, per difendere una parola ancora più fragile,
imperfetta che necessita sempre più di inerire, evadere dal buio per farci
riscoprire la nostra umanità.
PODERE
CARESTIA
Non
si chiedeva il senso del vegliare,
lui
guardiano di cosa poi
se
era tutto disfacimento, i muri
una
rovina di scorpioni ed edera.
Pure
lo inebriava sostare immoto
tra
quegli aratri, sfregarne residui
di
spore e letame tra i polpastrelli,
sentirsi
anche lui olla di quel destino
di
terra e nuvole.
Non
lo turbava l’insignificanza
di
quel cerimoniale:
restare
desto ogni notte, la nebbia
le
calli dove scantona smarrita
qualche
volpe esausta, ai tetti sconci
il
raro guizzo d’un gatto selvatico
e
il mattino sulla soglia il bicchiere
di
latte tiepido, la ricompensa
di
chissà quale mano
debitrice
d’oblio, o di pietà.
Non
lo inquietava assolvere
l’ambasciata
a baluardo del nulla
sorbirlo
stilla a stilla. Non diverso
sarebbe
stato vivere.
ACCIAIO
Vi
indugia ancora, icona prigioniera
nell’intarsio
d’oro della sua tavola,
dita
indiscrete a gravare la soma
d’imposta
immobilità. È sempre lui,
quel
mondo già dato troppo per certo
quell’emanazione
d’un sé corporeo
in
cui accorta od incosciente intridersi.
Quella
miscela spuria di ioni ed atomi
l’aria,
più di tutto le manca,
lei
che da anni nel polmone d’acciaio
ne
inala ne esala quel lavorio
di
vento sulla pelle
fino
a farne afflato, alea di respiro.
Giardino
di silenzio
si
fa eco del mondo, sua cassa armonica
in
cui raduna frantumi esperiti
subìti
o solo immaginati,
si
fa senso chiaro, s’accorda al cosmo
ne
ascende ogni scala, assente al suo ritmo.
Brulichio
di formiche, ronzio
di
lampade o tremolio di vetri,
scalpicciare
di passi o risa d’uomini.
Poco
importa distinguerli.
Rumore
di fondo, scorie d’universo.
Hai
ragione, Piero, siamo alberi
spicchiamo
frutto, da radici che
non
ci appartengono, o meno ancora
saprofiti
che ineriscono a schegge
di
corteccia, ad una cruna di verde,
e
come dici, poesia è questo
porgere
la mano, sperare prossimo
il
cambio della guardia, e continuare
nella
corsa, passare la staffetta
già
sapendo la meta irraggiungibile
fragile
la parola, perché l’unico
eterno
che perdura è l’impossibile.
Perfetto
nel non darsi.
Restano
mani abrase, franto il fiato
l’orlo
di buio che ci ha arato il viso.