È poesia di coscienza, termine
inflazionato che si apprezza ancora nella sua etimologia: cum scire, un sapere insieme
che non prescinde dall’altro in cui il poeta, se non è ben calato, si
approssima come al suo prolungamento più naturale. Legittima o dovuta,
l’approssimazione, poco importa, è questione morale che non tocca il poeta: il
verso è il suo modo di abitare, cercare e trovare apertura al mondo.
A voler essere precisi, è poesia di adattamento
della coscienza a qualcosa che solo impropriamente si
chiama dolore, più pertinente -umano, sereno- il montaliano male di vivere, una zavorra per i più, l’elefante rosa che tanti preferiscono –si illudono- ignorare,
una sorta di cassetta degli attrezzi per il poeta: ogni occasione
può farsi piombino, sonda, valido scandaglio dell’inesplorato che ci riempirà
fino la morte.