Ho già avuto occasione di scrivere sulla poesia di Angela Caccia; di
apprezzarne la voce genuina, ardita, generosa, fuori da schemi, da smarrimenti
di sfogo intimistico; ella si riaffaccia alla scena letteraria con una
plaquette editata per i caratteri di Fara Editore nell’ottobre del 2017, dove
il gioco della parola si fa interessante con le sue sinestetiche intrusioni di
pura intuizione creativa. Mi piace riportare una tranche del mio scritto sul
suo Piccoli forse. Lieto Colle Editore. 2017: “…Una parola sempre accanto, vicina, disponibile ma
ardita, intrepida, svincolata, di fattura umana e oltre, della cui compagnia la
Caccia non può fare assolutamente a meno, dacché di essa si ciba; è essa che la
conduce sulla strada della possibilità, verso un difficile approdo per una
navigazione in mari folti di tenebra e di mistero…”
Accecate i cantori, il titolo di questa plaquette, in
cui la Caccia, con un linguismo nuovo, generoso, assemblante, sviscera
tutto il suo magma interiore; e lo fa partendo dalla realtà, quella di ogni
giorno, quella della pioggia, del temporale, della primavera, della notte,
della sera, della rosa…, per farne corpi della sua frammentazione
epigrammatica; forse accecare i cantori significa indirizzarli più verso il
loro esistere, verso la coscienza della loro precarietà; per misurare meglio lo
stato della loro vicenda esistenziale. L’esterno ci può distrarre, ci può
depistare dalla visione del nostro ristretto soggiorno, dal fatto che ogni
minuto che viviamo non è altro che tempo sottratto alla vita. E tanti sono i
motivi ispiratori: la poesia, il poeta, l’amore, quello totale, per i figli,
per il compagno (se c’è una madre c’è un figlio/ e il respiro resta circolare),
le parole, il male, (Ci vuole una minuziosa/ e paziente/ esperienza al male…),
malinconie, saudade, fughe e rinascite. Una poesia polivalente che scava nei
meandri di un animo tutto vòlto a scoprire il perché di una storia; il
perché di un mondo entro cui ci stiamo e non ci stiamo (non ho nome/ non rubo
ossigeno/ non occupo spazio). Il fatto sta che i poeti (e Angela Caccia lo è
sia a livello formale che intrinseco) cantano sempre in ogni tempo e in ogni
dove le loro vicissitudini; la loro visione del mondo e delle cose, lo fanno
perché nati per cantare, perché è l’unica maniera di sentirsi vivi. Accecateli
pure ‘sti poeti ma non otterrete mai il loro silenzio. La plaquette si conclude
con la collaborazione di due autori: Lucianna Argentino e Francesco Filia.
Il primo con poesie tratte da Gli argini del tempo, Edizioni
Totem 1995; da Biografia a margine, Fermenti Editore 1999; da Mutamento,
Fermenti 1999; da Verso Panuel, Edizioni dell’Oleandro 2003; e
da Diario inverso, Manni 2006.
E vedo, sinceramente, una certa connessione fra la poesia della Caccia, e
quella di una Argentino, spersa, spesso, in rocamboleschi giochi mentali dove
la ragione sembra prendere il sopravvento su un sentimento che alla fin fine
tira le fila e riesce a dare concretezza alla sua esperita connotazione lirica;
tanti giochi che non poco hanno a che vedere con la parola partorita da un
animo cotto a puntino per il poièin; con un dire che scaturisce da
un sentire fresco e genuino. La limpidezza formale e la disciplina
versificatoria vivono di un attuale e fecondo realismo lirico lontano
dalla riforma prosastica del verso che ha egemonizzato gran parte del tardo
900: sperimentalismi destinati a sbattere la testa contro la Storia, come la
stessa Storia ci insegna (gruppo 63, Neo Avanguardia o correlativi oggettivi di
stampo eliotiano…). La poesia è poesia e chiede con forza di essere nutrita da
sentimento, memoriale, immagine come rielaborazione della realtà, panismo
esistenziale, disciplina della versificazione in funzione della musicalità…
Interessante ci sembra il mondo poetico di Filia con i suoi inediti
da L’ora stabilita in cui fa di una quotidianità spesso
oppressiva un trampolino di lancio verso la liberazione con versi affabili e
sincronici; con una ricerca verbale attenta e ispirata che non disdegna la
musicalità del canto; la eufonicità del poema; la scansione giusta della sonorità;
il rispetto, insomma, di tutti quei principi sopra elencati:
ritorna
il sogno di notti e sobborghi
con un finale rimosso
nel soprassalto
di sudore. Il denso
silenzio
dell’aria, degli urli
di uccelli tra i palazzi.
Nazario Pardini