A chi conferma
rotte/calando il piede/nella traccia buona/già calcata/a chi ne imprime di
nuove/col coraggio e la solitudine/della prima orma.
Una dedica ch’è già poesia, questo l’incipit del volume
della Caccia che affascina il lettore e gli preannuncia i temi: il coraggio e
la solitudine, nel dettaglio oserei dire il coraggio delle donne e la
solitudine delle donne “poetesse” che senza nulla togliere alla solitudine
delle altre donne, io comprendo all’istante: “tra due solitudini/ resta un verso/ la chiacchera migliore.
In questa raccolta si respira nel magistero della parola
anche la maieutica dei silenzi, tutto insegna a porsi in ascolto: poesia è quanto – d’amore /o dei suoi
fallimenti – passa dalle mani/grandi silenzi acquattati tra le sillabe/– la
voce, la voce è un tornare in pista – qui/sul foglio, resto negli argini di un
bosco…
Scorrono tra i versi contorni di boschi, stanze chiuse (ci sono stanze col solito tanfo di
solitudine), case vuote…tutto allude a una
reliquia il silenzio..e in quel silenzio vi è memoria dei tempi andati, la sacralità delle nostre pareti, ma vi
è anche tanta solitudine, infatti perfino il
raggio che cade dalle vetrate di casa tua /non tocca terra – e come Te – resta
un’isola.
Vi è una madre …sconfinata
in dolcezze di nebbie e una figlia costretta a far da madre, mentre la poesia sta dietro, in agguato e si fa
largo pian piano a darmi le ali del
mattino e sollevarmi dalla fossa, un baratro chiamato quotidiano…ecco la
confessione della Nostra “incinta sempre
di un verso”.
E’ la vita che detta i versi ad Angela, la sua sensibilità
accentuata e un talento innato le consentono l’ascolto e la trasposizione su
carta, la conversazione col foglio che diventa un rapporto di verità con le parole e riesce a spostare confini.
Non è statica contemplazione la poesia di questa raccolta,
non solo sposta confini e acceca i cantori, ma è un’abile acrobazia, un sogno a piccoli passi, un frullio sui petali,
è gesto del seminatore, benché sia assodato che ogni poesia è fatta di assenza di assenze /di farfalle infilzate sul
foglio…
E ce lo ricorda la quotidianità, sul davanzale la forma di un vaso che urla il vuoto dove prima c’era la ciotola di creta.
Tuttavia occorre frugare
oltre e non fidarsi più degli occhi,
ecco dunque la necessità invocata nel titolo, solo se accecate i cantori si
potenzieranno i sensi buoni dei poeti, il tatto e l’ascolto perché
per raccontare il cammino, bisogna gustarsi anche le attese
ed è nello spazio vuoto la rivelazione.
Claudia Piccinno