venerdì 12 gennaio 2018

Quel tocco di strazio - Dionisio Di Francescantonio


La poesia di Angela Caccia si concede raramente al grazioso, al bel verso d’effetto, pur obbedendo sempre alla musica che il succedersi dei versi deve produrre, e si tratta di una musica che trova il proprio ritmo anche dalle pause improvvise e dagli improvvisi silenzi che seguono a un interrogativo senza risposta, o a una risposta intuita ma lasciata in sospeso, per pudore di cadere nel consolatorio cui l’esperienza della vita, coniugata a un certo stoicismo, non consente di abbandonarsi. La sua poesia è un mettersi a nudo ma non senza pudore, dove lo scetticismo e la speranza si alternano e si negano continuamente l’una all’altra.

Poesia vera, apparentemente scabra, apparentemente non cercata, che nell’inesausto scavare dentro di sé raggiunge spesso il sublime, specie quando nello scavare approda a scoperte che nascondono un brivido di strazio (e nello strazio il rintocco è profondo) come, tanto per citarne qualcuno, a caso, in “ognuno a suo modo ha trattenuto in sé/la leggenda di una sfumata primavera”, oppure in “come assestare questo piano/inclinato, si scivola lenti e tutti/ad una morte sempre più anonima”, o ancora “e invece/lanciato il programma/l’inesorabile è in atto”. Lo strazio a volte è prolungato e intenso, specie quando s’ammanta di rammarico: “i sogni, solo nuvole che s’azzuffano/- la realtà è da sempre dissidente -/ma non sarà un sogno a dilaniarti, /piuttosto il non crederci fino in fondo”.

A volte il desiderio d’inseguire il sogno o l’avventura affiora, ma è solo un attimo breve di stordimento, o meglio un tentativo, una prova, un “tastare il terreno” verso una fuga più immaginata che desiderata, e che in ogni caso viene subito negata giacché riemerge, ineludibile, la necessità dell’approdo alla quotidianità e ai doveri consueti, tanto più necessari alla voce sognante e poetante perché è solo nella disciplina del “mettere ordine” tra gli inciampi e gli sfaldamenti dell’esistenza che può essere ricomposto quell’equilibrio tra sé e la vita, il solo che consenta di guardare quest’ultima limpidamente, di sublimarla in canto e quindi di sopportarne i limiti e le delusioni infinite.  Per cui la necessità di “castigarsi/a uno sguardo che riduca la rosa/ad essere bella/e nulla più/non smorza la nostalgia dei treni/non sfiata un respiro compresso… “. In quest’equilibrio sottile tra impulso a veleggiare nell’oltre sè ed esigenza di mantenere invece saldo il contatto col sé di ogni giorno si situa, ma ovviamente declinandosi in mille sfaccettature, la poesia di Angela. Ce lo dice chiaramente in questa lirica, dove la sua musica risuona vivamente di quel tocco di strazio che dicevo prima: “Come nave al largo ti guarderò sparire/col tuo minimo di equipaggiamento/… ti avessi dato la mia mappa dei venti! /Ma crescere/è l’avventura di solitudini in mare aperto”.


Dionisio di Francescantonio