Tratto dal blog Signora dei Filtri
La poesia sembra appartenere a un mondo che c’è già, ecco
il senso di quella lettera minuscola all’inizio di ogni lirica nella silloge Piccoli forse di Angela Caccia. Il poeta opera
un’azione di maieutica e tira giù le parole da dove esse vivono di vita
propria, da un altrove che è già iniziato prima che leggessimo.
Piccoli forse, dunque, piccole possibilità che si
traducono in poesie dedicate al padre, alla madre, all’arte, al poetare stesso,
inteso come bisogno incontenibile ma anche rifugio. Il
vizio di scrivere parole/è solo un mio punto di riparo. E ancora, affidarsi a un foglio/come a un ventre. La
poesia protegge e genera allo stesso tempo.
Cerchi
concentrici dove la stazione di partenza
è quella di arrivo, fatti di cose qualsiasi, di giardini, di aiuole, di
pioggia, di sole, di rose, di terra, di porti e di navi, descritti conpiccola grammatica per gente semplice. Anche
l’amore, inteso come un tutto noi,
ma anche come amore materno, schianto di tenerezza. Eppure, accanto a queste
cose ordinarie - non nel senso di banali ma nel senso di comuni - ci sono anche
le grandi tragedie, come l’attentato di Nizza, ormai, ahimè, divenute anch’esse
quotidianità.
I forse sono
le possibilità ma anche le incertezze del destino, gli scarti da ciò che
pensavamo dovesse essere e invece, probabilmente, non sarà. La morte è una
continua sottrazione, un’assenza cui ci si deve assuefare. Perché bisogna
prepararci all’assenza perenne che preannuncia anche la nostra, perché i gesti
sono piccoli ma il significato è grande, perché la vecchiaia non dà scampo,
prima o poi tutto ci mancherà e i ricordi non basteranno a disperdere quel velo
di malinconia da indossare con disinvoltura ogni giorno. La nostra bocca non si
slargherà mai più in un pieno riso giovanile, ormai ne siamo certi, neppure di
fronte al miracolo di una vita che nasce, di un seno che allatta.
Rispetto a Il tocco abarico del dubbio, si è persa un
po’ di scorrevolezza che non guastava, si è aggiunto un po’ di ermetismo in
più. Alcune parole cadono nella cacofonia o nella banalità, come ad esempio minuzzoli, ruzzolante, seno turgido. Altri momenti, però,
raggiungono apici lirici non indifferenti come più
di me fu l’albero oppure un
santo senza chiesa o nella bella poesia dedicata alla madre
invecchiata che riportiamo per intero
e sarò io domani a doverti
partorire in qualche modo,
su ogni post-it alle tre la pillola,
la conta
delle gocce, un tuo necrologio
maglia a maglia disferò
l’ansia di quegli appuntamenti,
ognuno una trafittura nel petto,
da parte a parte
cancellarti da ogni giorno
inesorabilmente
inizierò così ad allattare
il tuo ricordo in un rumore
di ciabatte che
mi cammina dentro
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