Conosco l’autore e ho aperto
questo libro, Immagine convessa – Fara Editore 2017, conscia di trovare
all'interno, oltre alla poesia, il sapore del grande romanzo: quel tutto
organico che restituisce una precisa atmosfera da cui, tu lettore, non ti
divincoli tanto è solida e ben costruita. Un buon libro di poesie -e questo
libro di poesie- è come entrare in una casa che ha una sua precisa identità: ne
percepisci i profumi, le ombre tenaci e quelle più docili alla luce variabile
del giorno, gli angoli già carichi di storia, quelli con pareti pastello pronti
a darti il benvenuto e altre dove fanno da protagoniste tende immobili statuarie
e, dietro, una finestra che da tempo non si apre più. Un buon libro di poesie ha
in sé l’invito ad entrare nello spazio esistenziale di chi l’ha scritto, di chi
ha saputo raccogliere nell'unico linguaggio che gli è più consono, i suoi
silenzi.
Titolo e copertina -che
rappresenta la foto del figlio dell’autore, Antonio, morto giovane e bello -,
sono un tutt'uno: l’uno spiega l’altra e viceversa. Non penso esista un
genitore che vorrebbe sopravvivere alla morte di un figlio: con lui -il figlio-
si spegne il mondo di chi, come un genitore appunto, lo ha amato visceralmente
ed ha intrecciato nel bene e nel male la propria vita alla sua; di chi, ora,
non sa più che farsene della propria vita così sprogrammata e, per sempre,
disarticolata da tanto dolore. A meno che -a meno che …- non si raggiunga un
compromesso e, quindi, una sorta di possibile convivenza con una sofferenza
accesa sempre, ma che ora si lascia centellinare. Vela ancora gli occhi e ancora
deforma l’immagine: ogni immagine, che torna convessa verso l’alto come un
calice colmo di tanta appassionata umanità: chiavi di un regno, mappa di tanti
orizzonti.
Da pag. 79 (meravigliosa!)
Posso
dirti che non mi piace
vederti
seduto ad aspettarmi
tra
lapidi bianche al cimitero
meglio
è sentirti con me
immergere
gli occhi nel cielo
limpido
delle terre verdi
dove
siamo nati, Antonio
concerto
di mare verso le sabbie
dorate
di Camerota i frulli
salmastri
del rosmarino nel vento
ci
insegue mordendo i capelli
vieni,
i fratelli vicini, mia moglie
ti
guarda, quasi spia, la tua dolcezza
che
piace a Dio.
Da
pag 75
Ti
hanno vestito con l’abito
buono,
sorridevi baciato
dal
tuo amore per la vita
le
lunga dita ancora in fiore
come
le corde del contrabbasso
Sei
bello per sempre di fronte
all’eterno
cuore leggero
del
tuo sogno: si muore
dormendo
dopo una lunga
notte
d’amore.
In quanto esposto prima, la chiave di lettura
del libro. Mi accosto ora ad altri argomenti, cari al nostro D’Alessio,
precisando che ogni tema non è presentato -e affrontato- da nostalgico, ma da
testimone, uno di quelli che teme l’adattamento a ciò che non va, la resa ad
una memoria/automatismo senza la vividezza del ricordo; quel testimone, insomma,
che non ha fatto il callo a ciò che non va e lo denuncia ancora una volta. Ecco
che il verso è una sorta di memento lasciato al vento perché almeno una folata
raggiunga e allerti sempre il futuro.
Da pag. 76
Padre
Bosco che sei
più
in alto siano santificati
i
tuoi faggi vengano
le
tue sorgenti a rinnovare
le
valli sia fatta la tua volontà
uccelli
nel cielo fiori sulla terra
dacci
sempre il tuo fresco quotidiano
perdona
i nostri errori
non
ci privare dei tuoi doni
ma
rinnovali nell’eterno
delle
tue stagioni: Amen!
Da
pag. 77
Dove
vanno i giovani del Sud
i
loro cognomi sparsi
ai
quattro venti, gli occhi
spiritati
di colore, le mani
calde
di lavoro? Sciamano
rondini
anonime dal deserto
delle
nostre terre
pugni
stretti ai fianchi solchi
sulla
fronte portano la dignità
dei
sogni avuti al sole.
Il
Nord del mondo è
tempesta
d’odio e di serpenti.
Giovani
del sud onore
mai
smarrito.
C’è
una dimensione che pregna l’intero libro ed è quella della preghiera. Non è tanto
l’esplicita devozione a Dio, comunque, molto presente nel Nostro, ma una sorta
di condivisione e partecipazione alla Vita di sempre e di tutti, con le proprie
umane e precarie capacità, da figlio e fratello - veri e propri legami di
sangue da quell’umanità che stilla un dolorepersempre.
Pregare è pensare al
senso della vita, citazione
di Wittgenstein alla quale fa
quasi da rifinitura quella di Martin Heidegger, pensare è ringraziare, come a dire che quando si iniziano a toccare
certe profondità si incontrano tanti e tali cieli che il porgersi di un poeta
ha sempre un sottofondo di gratitudine e pelle accapponata
Da
Pag. 33
La
notte è un groviglio di rovi
per
gli occhi in preghiera
per
mani mansuete al giaciglio
il
sole arancio sulle terre
nel
sacro velo del cielo
beata
te rondine che torni
non
sappiamo se figlia
madre
sposa della passata
stagione
il tuo volo non muore
il
nostro cade nel rantolo
antico
delle ore.
Da
pag. 97
Signore,
posso chiederti dove
comincia
il cielo dei poveri?
L’acqua
del loro pianto è
polvere
nel fuoco delle armi
il
sangue dei figli è rosa
del
deserto, puoi sentire
per
amore della tua carne
queste
grida?
E
termino la mia riflessione che, come altre precedenti, non nasconde un pensiero
affettuoso e di stima verso questo Poeta -in privato gli ho scritto che avrei
voluto essere io l’autore del suo libro- col finale di una poesia di Paul Celan
che ben si adatta a condensare il sapore lasciato dalla lettura
fanno restare senza
fiato, oggi,
le mani giunte.
Angela
Caccia