DAL SITO SOLOLIBRI.NET
Parlare di poesia non è mai una cosa
semplice. Per sua natura, la poesia è soggettiva, intima, troppo personale.
Leggere poesia può scatenare, anche nel medesimo lettore, sensazioni molto
diverse tra loro a seconda dei momenti, degli stati d’animo, dei luoghi. Ci
sono poi, però, poetesse e poeti capaci di raggiungere una sorta di
annullamento delle forze in gioco, il “punto abarico”che dà il titolo alla
silloge di Angela Caccia, un punto in cui lei, autrice, fa sedimentare il
pensiero come “acino di sole”, mentre io, lettrice, non manco di scoprire una
voce affine, una voce chiara che profuma di terra, di mare e di vento, una voce
che trova parole a me solo momentaneamente aliene per tratteggiare emozioni che
risultano immediatamente familiari. È una voce, quella della poetessa, che
esprime qualcosa che l’umano sa di avere dentro e lo traduce in suono, ma ancor
più in regalo. “C’è un paese in me / che
non conosci / periferia / fessure di cielo / Si dimena / un vento di conchiglia
che / maledice le sbarre”.
Questo “paese” sembra sempre ribellarsi al silenzio,
al dolore e alla perdita di una madre, di un cane o di un naufrago, lotta
contro quella prigione-conchiglia che deve rassegnarsi ad abitare per iniziare
a vivere davvero, sogna ali, o illusioni di dorsi d’uccello, e dipinge scenari
su cui librarsi con penna e foglio dopo aver metabolizzato la sofferenza: “dovrò sostare nel tuo vuoto / per sgamarti /
poi ti sfebbrerò sulle ginocchia / saremo amici / e ti darò un nome.”
Ecco, è in quel momento che la vita risorge
con forza impetuosa e riempie gli occhi e il cuore di bellezza assoluta. Ogni
alba è un miracolo “e accorgerti che / i
passeri / già prima di te / la aspettavano”, i tramonti sono una benedizione e il volo di
un uccello, il suo “ghirigoro” d’inchiostro nel cielo di maggio, puntato da chi
ha imparato a osservare dalla finestra del proprio essere, è tentazione e
metafora di una voglia di vivere ed essere liberi di celebrare la vita con una
preghiera poetica che supera la morte e la natura terrena dell’uomo, e vuole
imprimersi nella pagina:
“Si
fa fiume la pagina
schizzi
le sillabe
guizzano
tra
l’erba e i rami
scoiattoli
di parole.
Il
letto d’acqua
si
raddoppia del mio cielo
nel
paese che mi abita
sulle
sponde
ranuncoli
di pensieri.”
Di nuovo quel paese di parole, quel regalo
che la poetessa fa ai suoi lettori sapendo che la sua anima sarà altro, “altrove / nell’incavo di mani più grandi”.