Ci sono domande che varrebbe la
pena porsi periodicamente, se non altro per ribadire un nostro credo.
L’intervista di Laila Cresta è stata l’occasione
di una splendida passeggiata, altrettanto splendida la sua compagnia.
Sulla rivista on
line www.stanzaerato.com
Di questa donna calabrese, moglie e madre impegnata nel
sociale, ci è arrivata una silloge di
versi liberi “preziosi” come forma e coinvolgenti come contenuto. Della nostra
lingua fa un uso colto ed elegante, e il mondo interiore che ci schiude è ricco di
luci e di profondità nascoste.
1 -Che rapporto c’è fra la tua “vocazione pedagogica” e la scrittura, se esiste un rapporto?
Se vocazione c'è, non è per nulla
intenzionale. Forse è un effetto collaterale e inconscio della mia esigenza di
scrivere per chiarificarmi e raggranellare un minimo di assertività. Ma anche
quella, l'assertività, è della serie: io ho capito e acquisito dei
convincimenti sin qui, non è detto che non ci sia di più, di altro, di diverso.
È il riflesso dell'educatrice che sono e sono stata per i miei figli ai quali
“cerco” (e nel virgolettato è tutta la fatica di non prendere la strada più
sbrigativa, quella dell’autorità genitoriale, tentando invece di innescare nel
rapporto madre/figlio una sorta di empatia, con la speranza che possa diventare autorevolezza e fiducia) di propormi amica
comunque, anche quando mi è difficile comprenderli.
Rammento, a me e a loro, che sono una persona adulta con un suo carico di
conoscenze basate sull'esperienza: non avranno l’imprimatur dell’infallibilità,
ma indicano comunque strade già battute.
2 - Da quanto tempo scrivi?
A me sembra “da sempre”, e da sempre si
sono alternati periodi di fermo/silenzio e di intensa attività.
3 - Cosa scrivi? Cosa
significa per te scrivere?
Scrivere ha il vantaggio, tra i tanti,
di cristallizzare un grumo di tempo che, all'improvviso, senti carico di un
preciso o abbozzato sentimento, per sua natura estremamente evanescente se la
penna non lo stigmatizzasse in qualche modo sulla carta. Ed io scrivo, di
solito, dell'emozione che mi passa accanto e che ritengo sia utile portare con
me nel mio viaggio di vita.
5 - Cosa ti dà? C’è un messaggio, e/o uno scopo, in ciò che scrivi? Esplicitalo. La scrittura è per te una professione,
un piacere, un bisogno, o è solo propedeutica al messaggio?
Oltre alle risposte implicite che ho
dato sin qui, potrei dire che lo scrivere in me è finalizzato a una sorta di intima
e periodica manutenzione del sé: sentimenti, emozioni, valori. Credo sia il
modo più efficace per lasciar emergere le
proprie contraddizioni, per tenersi d’occhio, capire se e quando ci si
nasconde anche a se stessi, è la cartina di tornasole della propria
autenticità. Per certo è palestra, tanto impegnativa quanto affascinante, il
sentiero del coraggio di cui periodicamente abbondo o scarseggio, e sul quale
ci si può incamminare per scendere in profondità a volte sconosciute o scomode.
8 - Ami la lettura?
Lettura e scrittura, quando sono consanguinee, sono anche propedeutiche
l’una all’altra: nella mia periodica difficoltà ad articolare un pensiero
valido, il segnale che ho bisogno di fare un pieno di lettura; e viceversa: se
avverto come un bubbone dentro, c’è un attività di pensiero implosa che cerca
una sua consistenza nella parola scritta.
9 -Quale genere leggi più volentieri?
Nell’ adolescenza ho fatto scorpacciate
di narrativa, in età adulta ho iniziato ad avvicinarmi al pensiero “denso”, per
lo più filosofia psicologia e teologia, poi ho preferito la saggistica. Di
poesia ne ho letta sempre, ma non quanto avrei voluto: quella che mi piaceva –
Merini, Dickinson, Borges, Rondoni e tanti altri - mi restava troppo addosso,
dovevo allontanarla da me. Oggi sono un’indisciplinata, non riesco a
riflettermi in uno specifico genere letterario.
10 -Qual è l’importanza della lettura, secondo te?
Anni fa mi chiesero di relazionare su
una frase di Flaubert che avvertivo come un’ autentica iperbole: “Non leggete
per divertirvi o per istruirvi. Leggete per vivere”. Poi, man mano che
sviluppavo un mio pensiero, approdai ad altre conclusioni. Il piacere del
leggere sta nel deviarsi o istruirsi, magari è anche una forma di consolazione.
Dovremmo però consentire un’altra finalità alle nostre letture, e tenercela ben
stretta a mo’ di stella polare: un libro può e sa decifrare la realtà che ci
circonda e spingere alla coscienza della significazione. È la consapevolezza
che fa la differenza tra vivere di gusto e non.
11 -In Italia, si sa, si legge poco. Come pensi si possa incoraggiare
un bambino a leggere?
Molte volte si sbaglia l’approccio alla
lettura che, comunque, è una fatica: decifrare segni, immaginare, collegare,
rilanciare il proprio pensiero da un pensiero altrui, sono tutte attività
intellettuali impegnative.
Leggere, e intensamente, abbisogna
di un rituale. È un po’ come un bagno
caldo e rigenerante: ci si cala lentamente, poi, appena il corpo acquisisce la
stessa temperatura dell’acqua, si attua una completa interazione tra acqua e
corpo - tra lettore-testo-autore- con tutti i benefici che da quell’interazione
si possono ricevere.
12 - La poesia ha ancora una valenza nel mondo d’oggi, secondo te?
Di recente ho presentato il mio libro a
Messina, grazie all’ospitalità dell’Ass.
culturale Terremoti di Carta. Il relatore d’eccezione, S.E. Mons. Antonio
Staglianò, Vescovo di Noto, ha concluso il suo intervento dicendo che nulla
come la poesia è capace di coltivare e salvaguardare “l’humanitas” di cui è pervaso l’essere. Concordo in pieno, e
aggiungerei che nulla, come scrivere o leggere poesia, sa toccare nervi
scoperti e nutrire e rinfocolare con la sua lucina quella “fiaccola per
illuminare le camere oscure del ventre”, traduzione del termine ebraico “nishmat” col quale si identifica l’anima.
13 - Cosa può dare a) al poeta, b) al lettore?
Ad entrambi, lettore di poesia e poeta,
ho dedicato sull’argomento dei miei versi:
Barche di carta sull’oceano. Vele
spiegate
vergate da un vento che si spera amico.
La notte è salvezza che passa per un
abisso
mostra una rotta che il giorno a tratti
vanifica.
Si naviga a vista rotolando sull’onda
gonfia
la più slanciata a lontananze
d’orizzonti:
lucciole tremolanti che sfidano chi ha
coraggio e continua il viaggio.
Qualcuno approda dove la coscienza si
fa porto.
14 - Presentati in dieci righe. Cosa vuoi dire di te?
Provo a cavarmela condensandomi in tre
verbi: curo-gioco-viaggio.
Amare è voce del verbo curare, ed io ho
un piccolo grande mondo di affetti. Un gioco non è mai fine a se stesso, è un
topos che riflette una precisa visione, forse un progetto di vita: negli
scacchi alleno logica e creatività, la prima mi lega alla terra, la seconda mi
slancia. Pigra cronica col pallino di viaggiare - m’addentro fuori per
ritrovarmi dentro - non posso che ripiegare su letture e scrittura. Gli
orizzonti più ampi sono di poesia:
una stufetta appassionata
quattro ante di nuvole e di cielo
cicche a metà dimenticate
e poi
ampiezze crinali precipizi
ali di parole …
non sono qui
cercami altrove.
Laila Cresta
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