Si scrive dietro l’impulso irrefrenabile di voler comunicare, ma cosa si vuole consegnare?
C’è chi scrive dalla propria cattedra dove la penna fa da bacchetta.
Lì c’è poco da condividere: l’autore si porge in una sorta di anestesia emozionale, mentre enuncia, assiomizza, giudica e condanna.
Al lettore - parente o amico - che ricevesse una copia omaggio del libro in questione, si consiglia una lettura a righe alterne: veloce, snella ed esaustiva: i pensieri non trovano un’emozione a cui agganciarsi e scivolano tutti.
C’è poi chi, al contrario, si sparge incondizionatamente sul foglio bianco.
E’ il classico prototipo di nutella intellettuale: non si tiene a debita distanza dalle emozioni, ci sguazza, ci si aggroviglia.
E mentre cerca di sbozzolarsi, si rode perché non riesce a cristallizzarle subito, prima che evapori tutto il pathos.
E’ lo scritto che trabocca disarmonie, omette passaggi considerati scontati o banali, e lascia nei guai chi lo legge che, dopo un po’, si arrende ai tanti “…ma cosa avrà voluto dire?”.
Infine, c’è chi la scrive come la sente; rasenta, senza saperlo, l’una o l’altra categoria; afferra intuizioni ora da culmine ora da cavolo. Eppure costruisce un sorta di canale empatico tra lui e il lettore: non ha nulla di epocale da lasciare in questa vita, la sta solo passeggiando guardandosi un po’ intorno.
In una insolita toponomastica, tra scrittori di testa e scrittori di pancia, c’è un terzo gruppo che potrebbe stanziarsi in una zona ancora libera (… lì al centro della gabbia toracica, un po’ a sinistra).
f.to Io
Ti ho appena scritto una mail... ora leggo questo tuo pensiero acuto e, senza rifletterci su mi viene solo: ma sei tremenda...e reale!!!
RispondiEliminaMa noooo che non sono tremenda. Tremendo e dannoso, semmai, è non guardare in faccia la realtà e trovare mille altri nomi per eluderla,
Eliminaanzichè cercare e trovare il suo, per poi consapevolizzarla :-)
Io sono soggetto alla ANESTESIA EMOZIONALE.
RispondiEliminaAnche perchè non mangio Nutella!!!
Tu, forse, appartieni al terzo "gruppo":
Spostata verso la sinistra?!
>Tu, forse, appartieni al terzo "gruppo"
EliminaMah… non saprei proprio. Chi scrive cammina sempre su un crinale, ora rischia di scivolare nella fossa del cattedratico ora di inzaccherarsi nelle proprie emozioni. È difficile ‘tenersi d’occhio’! Ma se non perdi la consapevolezza di quel crinale, almeno rimani in ‘zona cuore’ ;-)
Potrei dire soltanto: "Ecco, ecco che Angela ha colto nel segno del giusto, del buonsenso d'una classificazione che è, nella sua semplicità, lapidaria e che divide, ineluttabilmente, i modi della poesia, in due categorie, che abbiamo vissuto e ancora viviamo spesso come integraliste, (in considerazione dei temi storici e anche delle loro "mode" letterarie con i loro santi numi)in un senso o nell'altro: testa, pancia.
RispondiEliminaLa terza via non è una via di fuga, semplice alternativa. Per il poeta dovrebbe essere una necessità e un obbligo in un regime di lealtà rispetto al "poieo" che va a compiere.
Infatti, se un qualcosa si chiede ancora al poeta, quello vero,- figura così peraltro inflazionata e , paradossalmente, emarginata dai circuiti di ciò che effettualmente conta - è sintetizzare attraverso parole,consuete desuete o innovative, un sentimento suo ma declinabile in mille modi, adattabile a uno, dieci lettori su cento. Ma anche a uno su mille, che ancora ne vale la pena. Certo questo presuppone una conoscenza del mezzo. Non ci si inventa poeti studiando sul proprio diario dell'adolescenza, straboccante di sentimento. non ci si inventa neppure poeti da vecchi che hanno massimizzato le esperienze di una vita facendone quasi proverbi e retorica di vita e traducendoli nella loro poesia mischiati a teneri ricordi. Nel mio percorso di lettore sgamato ne leggo tante di questo amorevole, pietoso spandimento, come su bancarella di mercato, di sentimento spacciato per poesia.
Nella poesia c'è, ci dev'essere, anche "testa". Solo così ci salviamo dal sentimentalismo fine a se stesso. C'è bisogno, non solo d'arte ed estro, spesso anche d'artigianato nobile. La scelta delle parole, dare ad ognuna il suo peso,il giusto posto nel contesto, un ché di musicalità o voluta cacofonia. In una parola, l'artificio della bellezza, armonia, compiutezza.
E nella poesia c'è bisogno anche di "pancia". Per contraddire chiunque pensi che la poesia sia un mero esercizio retorico e narcisista, così avulso dalla realtà che, piuttosto che denunciarne il disagio in cui la si vive,ci si raccoglie in un guscio d'incomunicabilità esistenziale, egocentrica anziche no.
Ma per concludere ed assemblare, la terza via di Angela è quella in un sano, sanissimo bilico. L'equilibrio instabile tra cuore testa e pancia è rischioso, può fare inguacchi, ma è l'unico che, socialmente e letterariamente può dare ancora messaggi perché non invecchia ancora sino a decrepitare.
Brillante questo pezzo. Ironico e graffiante al punto giusto.
RispondiEliminaMi ha fatto venire in mente un aforisma di Nicolas Gomez Davila:
"Le torri d'avorio hanno pessima reputazione fra gli abitanti di tuguri intellettuali"