Angela Caccia: la poesia dove “nessun verso ha il colore del pieno”
Lettura e scelta di poesie di Maurizio Rossi“Chi ama la poesia, sia nel ruolo di scrittore che di lettore, compie una scelta su come stare al mondo, accettando di essere manutenuto anche dalla dimensione poetica.” Non sembri contraddittoria questa affermazione introduttiva della stessa autrice: lo stare al mondo, almeno per chi ne è consapevole, implica sia una scelta, quindi l’esercizio della libertà, sia un’accettazione, cioè la consapevolezza del limite che sottende ogni libertà dell’esistenza umana. La coscienza del limite è origine e sostanza stessa del dubbio, unico fronte di liberazione: non affermazione, ma essa stessa domanda.
Angela Caccia, nel cuore e nella mente sa che non esistono verità assolute, ma verità condivise e la poesia è una di queste. Il vero poetico – la poesia onesta sabiana – è un di più, un’ulteriore nutrimento che mantiene nel mondo, vivo, chi non disdegna di assaporarlo.Non sono necessarie condizioni o ambienti definiti per accogliere la spiga di Calliope: infatti questa va seminata “a sfaglio” a mano aperta, su un terreno non preparato da solchi o tracce ; accettando che, come nella parabola evangelica, possa farsi pianta o perdersi, soffocare o crescere, illudere e poi seccarsi. In questa dimensione, può accadere anche l’imperfetto: così, il linguaggio dell’autrice èa tratti duro e altre volte fluido, le immagini sovente in chiaroscuro, l’ombra stessa che, accolta, “apre passaggi/ pulviscoli di un brillante”.
Tra la prima e l’ultima lirica, si susseguono cinquantadue poesie in uno stile personalissimo – verso libero, minimi segni di interpunzione – e “nessun verso ha il colore del pieno” perché nulla si compie là dove “ogni parola è concava” mentre sembra si prenda gioco di chi scrive e di chi legge.
È indefinita dunque la poesia? Tutt’altro, secondo la poeta di Cutro:è opera ineffabile, indicibile, verità non assoluta nel mondo delle verità condivise. Abita tra queste tutto il “non detto” che altri/e diranno, custodi della voce dei versi in “un tempio nel petto”; una vena che resta aperta prima durante e dopo lo scrivere, dalla quale scaturisce altra poesia, là dove ci saranno attese, esìli, solitudini e immagini di “felicità collaudate”.
Nulla è “compiuto” nella pluralità di strade e di percorsi, perché ciascuno è un “labirinto” un pulsare nel perdersi e ritrovarsi; la scrittrice, con il sole di fronte – l’infinito o magari l’accenno di risposta ai suoi interrogativi – può solo suggerire nello scritto, nel mentre lascia immaginare e immagina lei stessa “una bellezza intatta” al di là della nebbia.
Angela Caccia, con attenzione e calma, assopita quasi in attesa del risveglio (delicata ed evocativa l’immagine di Biancaneve che si attribuisce) nel compiersi del “lentissimo azzurro” – evocante il tratto d’inchiostro attento, e insieme la risacca delle onde sempre uguale e diversa – nel tempo scaduto tra scritto e ricordo, vive la vertigine come squilibrio dal quale non guarisce, perché è la vita che le appartiene, come origine di ogni movimento reale o solo pensato.
Magari si ribella a questa condizione, avverte il desiderio di riavvolgere il nastro – il rewind di Vasco Rossi – “tornare indietro e scegliere/ magari l’alternativa scartata”: breve illusione, perché la vita non si recupera facendo un’inversione di marcia per scegliere nuovamente la direzione, ma coltivando quotidianamente il desiderio di fame, giustizia, attenzione, tempo; non conta che magari sia disatteso e rimpianto. La morte arriverà, è l’unica certezza tra le tante insicurezze: “la vita si è fatta fuga in un attimo”; oggi, non più giovane poeta e donna, il verso è più faticoso – cammino e scrittura – e ora anche lei di giorno dimentica accesa la lucina notturna – la nostalgia – l’anelito a un ritorno alla condizione prenatale se non all’infanzia o alla giovinezza, insomma ad un prima, quando “quando appena in luglio/ tutto sembrava possibile.”
In tutto questo, Angela Caccia ci dice la sua necessità di fare poesia, di credere ancora nella poesia, per gratitudine “all’abitudine del vento che sposta/ al sole il canto degli uccelli”: due versi evocativi di ben quattro sensi umani, il tatto, la vista, l’udito, l’olfatto – i profumi contenuti nel vento, il canto degli uccelli, la luce del sole, il sentire sulla pelle l’aria che si muove – nella concretezza e nella essenzialità del pane. Ecco l’ultimo senso biologico, il gusto. Il pane che nutre e insieme ci riconduce ad un’esistenza non necessariamente sempre veloce, tecnologica, connessa con tutto il mondo; che sia semplicemente condivisa, con noi stessi, con chi ci sta accanto.
Che sia condivisa, come un’altra non assoluta verità: “e mentre semini/ cresce il tuo desiderio di crescere/ e con lei stare bene in quello/ smottamento che resta solitario/ e mai realmente solo”.
E infine, l’autrice ci fa dono di questa poetica compieta, a conclusione di una liturgia laica – l’azione del poiéin – agìta con un animo al quale non è alieno il senso del sacro: “A sera/ ho un piccolo raccolto di cui non/ vado sempre fiera/ lo adagio comunque ai piedi del letto/ lo sento farsi incenso/ e bruciare”.
Sarà servito a qualcosa
leggere Omero farsi disturbare
il sonno da una mail
vivere
fino la ferita
e al grido sotterraneo uscire fuori dal calcolo?
Sarà servito
innamorarsi spartire
in due il peso di sé stessi
modellarsi uno all’altro
sino a fare
del dubbio l’unico fronte di liberazione?
… come Giacobbe e la sua anca rotta
poter lottare col proprio Angelo
per guadagnarsi un nome (I)
E queste mani
che incessantemente emulano un dio
nell’atto di creare
tracciano il passo di sponda
mutano prospettiva ad ogni istante.
Cresce
solitaria da un solo lato
la notte – fronte cuore resta il giorno
e l’ombra che accogliamo
apre passaggi
pulviscoli di un brillante.
In questo campo da coltivare a
spaglio
tra neve e grano
il nostro imperfetto accade (LII)
Poter tornare indietro e scegliere
magari
l’alternativa scartata…
E se non reclamassimo più la nostra libra di carne
né inseguissimo vessilli stracciati
se imbrattassimo fogli solo
per gocciolare amore in avanzo
e fosse fame trascurata
l’attenzione alle piccole cose
l’emulare il gesto del padre
la parola sbrigliata di senso
se proprio la vita
rifiutasse inerzia e mani arrese
e non fossimo pieni solo di tempo
– allora allora…
bisognerà morire per davvero? (XIII)
(Poesia)
Vocazione a una solitudine aperta
infinitesima grammatura dell’universale
un vocalizzo d’ineffabile e il vicolo
invisibile
di colpo nella luce di lampi
nell’inquietudine dei dettagli: qui
si lavora la forma esatta dell’assenza.
La parola che pesa
si trasforma in seme: la interri
e mentre semini
cresce il tuo desiderio di crescere
e con lei stare bene in quello
smottamento che resta solitario
e mai realmente solo (XLVII)
La bugia che seppe farsi virtù
la prudenza che imparò a schivare inganni
segreto e rivelazione
il talamo intagliato nell’albero e tu
per anni
la sola radice rimasta.
Nessuna di noi
ha mai fatto di te una nostalgia
sei qui
nella maestà della tua solitudine
delle tante ostinazioni – fiera e greca
che ci appartieni: siamo tutte Penelope!
La notte
rintocca ancora di solitarie
resilienze verso chi ci vorrebbe umbratili
pensieri già pensati
madonne di latte
donne di nuvola – ma a noi
fu dato il coraggio di disfare tele per amore (XIX)
Angela Caccia ha pubblicato sei sillogi di poesie e contribuito a diverse pubblicazioni online. Con Fara Ed. (Rimini) ha pubblicato le raccolte pluripremiate Nel fruscio feroce degli ulivi (2013) e Il tocco abarico del dubbio (2015). Con LietoColle ha dato alle stampe Piccoli forse (2017). L’alveare assopito (Fara Ed.) ha vinto il premio Faraexcelsior 2022. Le sue opere sono state recensite in prestigiose riviste tra cui Poesia.Corriere.it, Satura, Patria Letteratura, Rai Poesia, La Poesia e lo Spirito, Limina Mundi, L’Osservatore Romano, e nelle rubriche di Eugenio Lucrezi su La Repubblica di Napoli e di Alba Donati su La Repubblica di Firenze. Le liriche raccolte nel presente volume hanno già ricevuto ampi consensi nella versione inedita. A breve, sarà pubblicato un libro di sue poesie in lingua rumena.
Angela Caccia “Di lentissimo azzurro” Campanotto Ed. Pasian di Prato (UD), 2024