Diciamocelo: è un Natale sottotono ma ce lo nascondiamo un
po’ tutti.
Qualcuno, con frasi tipo - l’importante è essere vivi;
che ci sia la salute e compagnia a briscola- cerca di ravvivare le braci
e, invece, sembrano nicchiare anche le luminarie sull’albero.
Natale è quella finestra che si apre una volta l’anno e, come ogni finestra, è un punto di fuga dove l’interno e un esterno si
raffrontano, si intersecano, si raccontano. L’armonia tra un fuori e un dentro non
è scontata né dovuta: stride, più di ieri, un accorato desiderio di pace coi
rumori della povertà della guerra dei
disastri climatici delle ingiustizie sociali della malattia.
Torna l’immagine della porta della Basilica della natività a
Betlemme: piccola angusta stretta: la porta dell’umiltà. E non è quella -o qualcosa
di molto simile - che, tutto sommato, faccia difetto: chi più chi meno, chi
crede e non, oggi è fin troppo consapevole di essere solo un pulviscolo nella grande
battaglia tra bene e male.
La butto lì: la porosità del cuore che la paura ha reso, sì
piccolo e munifico, ma anche impermeabile. Un meccanismo di difesa, una sorta
di guanto di cui si serve la mano per donare ma senza imbrattarsi perché teme
il contagio. L’effetto collaterale è quello di “sentirsi frenati”.
"Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Non abbiate paura! Cristo sa cos'è dentro l'uomo. Solo lui lo sa!"
Come a dire che, dentro l'uomo e le sue brutture, c'è sempre Cristo che nasce terge e risana. E nulla, NULLA può dirsi perduto.
Vi lascio AUGURI ARROVENTATI E INCENDIARI :-)