CAMMINAMENTI
trincee o scavi, comunicazioni
tra opere
fortificate e le immediate
retrovie (… praticamente Poeti)
Camminamento
n. 3 – Fabrizio Bregoli
È poesia dalle
braccia tanto aperte quanto preoccupate nello sforzo di dedicare a quella
approssimazione il suo specifico abbraccio, lo conferma il
minuzioso svolgersi del pensiero nel verso, come a non voler far torto a
nessuno: un pittore fauves che dosa mirabilmente di colore il suo
pennello.
Se è vero
–parodiando Groddeck- che non è tanto il lettore, ma è il buon libro ad
analizzare noi, la produzione di Bregoli è una sorta di battistrada
ben conscia che l’umano avrà mille sentieri per giungere a meta, ma la sua
poesia è tra le strade più luminose.
È una chiusa che scrivevo a gennaio dell’anno scorso,
presentando, con mie parole povere, il suo ultimo libro, Zero al quoto. Poesie che affascinano, tanto corpose quanto eleganti.
Sua particolarità -o solo una mia sensazione-: a leggerlo si è come risucchiati
da un pensiero che si srotola calmo, lineare, luminoso -e chiamo a prova anche
questa breve intervista - fino alla fine quando anche tu, lettore, ti ritrovi
nella stessa postura del Poeta: ripiegato, su te stesso, a mettere ordine le tante cose che sono balzate dall’anima
A domanda, ha risposto ...
Il poeta scansa il consueto rapporto tra significato e
significante perché “intuisce che al fondo della realtà c’è una dialettica
mummificata, cristallizzata, congelata, intuisce che ha la possibilità di
scongelare questa dialettica e riattivarla secondo parametri propri”
(Alessandro Serra, Linguaggio poesia e realtà).
Si potrebbe
considerare la poesia come una efficace riscrittura della realtà solo che il
lettore acconsenta a lasciarsi, in qualche modo, destrutturare dal verso e camminare anche lui il paludoso?
La poesia è quella forma espressiva in cui il significante
assume un rilievo fondamentale rispetto al significato che è in genere la
dominante nella comunicazione quotidiana; la poesia riscopre il valore
originario che sta alla base della nascita della parola, la potenza evocativa
del suono, la sua suggestione magica o ritmico-simbolica, che ha autonomia
propria rispetto alla semantica a cui la convenzione d'uso quotidiano la
ancora.
In realtà nella poesia contenuto e forma si fondono in un'unica entità che
li riassume e li travalica, li supera secondo un processo analogo a quello
della sintesi hegeliana: ciascuna delle due componenti si riscrive
auto-negandosi e conferendosi una nuova coerenza ontologica. Per questo la
poesia non può mai essere mimesi della realtà, ma ne è sempre un'astrazione o
una rappresentazione altra; se preferiamo ne è una riscrittura in cui vengono
coinvolti l'interiorità dell'autore, la sua visione del mondo, l'influenza del
mondo sul soggetto poetante, la libertà della parola - intesa come soggetto
terzo e autonomo rispetto a io e mondo - che si impone sull'intelletto poetante
per il tramite dell'inconscio, la dittatura dell'ispirazione, la tradizione
letteraria e la comunità delle voci poetiche di cui il soggetto è membro.
Ne deriva un risultato - la poesia - che è quindi multi-diretto e
pluri-composto su cui interviene in maniera attiva il lettore, che è
protagonista perché vi interviene con la sua interpretazione a riscriverne e
rimodularne il senso, conferendo alla poesia una dignità e un compito che il
soggetto poetante spesso solo parzialmente ha voluto o immaginato; in
questo modo il lettore può tramite la poesia intuire aspetti del mondo che
altrimenti non avrebbe potuto afferrare e interiorizzare, avendone solo una
visione parziale ex-ante.
In tal senso la poesia può, con la sinergia fra autore e lettore,
contribuire a una riscrittura del mondo e del ruolo dell'uomo nel mondo, a un
suo disvelamento.
Sono le parole che creano
“l’ambiente poetico”. Paradossalmente – ma, tutto sommato, non tanto- il
linguaggio poetico sembrerebbe in continua rivolta, e da sempre, contro il
linguaggio di “ogni presente” - il più delle volte, retorica che ipnotizza e omologa
e standardizza – nella misura in cui cerca di divincolarsi da quel significato che è in genere la dominante nella
comunicazione quotidiana, spostandone i confini e, aiutato dal significante, raggiungere la sua forza di
persuasione
Ciò che differenzia la poesia dalla comunicazione corrente è
senz'altro l'uso del linguaggio. Riferendosi al modello della comunicazione di
Shannon-Weaver la poesia usa un proprio codice specifico che impegna autore e
lettore in un colloquio riservato e al tempo stesso condiviso; ogni soggetto
poetante fa uso di un proprio codice personale che lo contraddistingue e
che può rinunciare all'immediatezza della funzione comunicativa, a tutto
vantaggio della priorità che viene assegnato all'esigenza espressiva,
all'urgenza poetica. Codice e messaggio sono indissolubilmente legati, è il
codice stesso che conferisce valenza poetica al messaggio.
A prevalere nel messaggio poetico (assumendo l'impostazione
di Jakobson) sono la funzione estetica e metalinguistica su tutte, la funzione
conativa (la poesia non si propone di convincere o trasmettere verità, ma di
sollevare domande) e la funzione emotiva (il sentimento anima la poesia ma se
prevale rischia il compiacimento auto-consolatorio o patetico) passano in
secondo piano (salvo eccezioni). Si rinuncia in linea di principio se non per fini
pratici alla funzione referenziale (potrebbe ridurre la valenza universale del
messaggio), e del tutto a quella fatica, non tanto perché si assume che il
canale di comunicazione fra autore e lettore sia sempre attivo, ma perché la
disponibilità del canale è irrilevante: a prevalere è la necessità del
codice (tutt'uno con il messaggio dicevamo) che assume intrinsecamente la
possibilità di strappi comunicativi, lacune, sottintesi, benefiche omissioni,
polisemia.
Non bisogna però assumere che per sua stessa natura la
poesia possa vantare una superiorità morale rispetto al linguaggio quotidiano.
Indulgere a facili santificazioni o attribuzioni eroiche al ruolo della poesia
è pericoloso. La poesia ambisce senz'altro a restituire a una sua autenticità
la parola, rivitalizzandone le fondamenta etimologico-ontologiche (e dunque
originarie e simboliche) e le suggestioni fonico-ritmiche, ed è vero che la
comunicazione consueta (si pensi in particolare al linguaggio burocratico,
amministrativo, politico-istituzionale, alla pubblicità) contiene
intrinsecamente un elevato livello di falsificazione del linguaggio. Tuttavia
la poesia, in quanto espressione artistica, ambisce al suo ruolo estetico
(come sosteneva Montale, in ogni poesia c'è sempre un certo grado di artificio,
di mestiere poetico); l'onestà della poesia (giustamente rivendicata da Saba) è
senza dubbio un'esigenza importante per il sostrato ispirativo ed etico che
muovono il soggetto poetante, ma rivendicarla come valore a sé è rischioso e
fuorviante (se non auto-assolutorio). Ogni poesia scende sempre a compromessi
fra l'esigenza della realtà (e della verità) e la sua pregiudiziale estetica
(qualcuno direbbe il bisogno di Bellezza) che può, anche solo marginalmente,
deformare o edulcorare la realtà: l'equilibrio è sempre precario. Questo è un
tema su cui mi interrogo da sempre, come avviene ad esempio in "Fosse
poesia".
Mi verrebbe da dire che, al di là di ogni teoria della
comunicazione, chi scrive versi attende il lettore a margine del foglio, se non
altro per dargli del tu, affiancarlo, fare insieme qualche passo: per
quanto minatore (Giorgio Caproni) un poeta ha bisogno
dell’ascolto. Mistero la poesia e ancor più misterioso chi ne scrive! … Siamo una proiezione di tutto quanto abbiamo letto sin
ora, sorgenti di luce così accecante da togliere la parola se non fosse per
quel quid – narcisismo, solitudine, incontenibile emozione - che ci spinge
ancora e comunque a scrivere versi. Pensi che il poeta, di oggi, sia quello di
sempre, e risponda ancora a una sete del sostanziale, per
dirla con Hegel, e all’etica del devo di cui Rilke in Lettere
a un giovane poeta ?
Proprio ieri
partecipavo a una lezione su "poesia e perdita" tenuta da Franco
Buffoni, il quale correttamente ricordava come per il poeta, rispetto allo
scrittore in senso lato, si venga a creare un rapporto più diretto con il
lettore che indaga il suo intimo, confrontandosi con lui sulla misura breve del
verso: questo è possibile perché il lettore di poesia ricerca un confronto più
problematico e impegnativo con il testo, rispetto al lettore di un romanzo o un
manuale, e anche perché il bacino di fruitori della poesia ha un cerchio
ristretto di "fedeli della poesia" che rende questi lettori più
esigenti ed attenti. Il vantaggio della poesia è la difficoltà oggettiva a
essere mercificata e serializzata, il fatto di essere esclusa dai grandi
numeri la avvantaggia e la preserva (per quanto ormai la sempre più ampia
diffusione della poesia su social e web e il naturale spirito narcisistico
dell'autore lo possano portare a deviare dalla consegna più importante: la
poesia deve essere autosufficiente, si deve unicamente confrontare con se
stessa e rifuggire dalla logica del consenso ecumenico, dalla futilità
dell'adesione entusiastica, perché la poesia autentica ha insita la logica
della durabilità nel suo silenzio, sapersi tenere al margine, fuori dalla
cosiddetta visibilità a tutti i costi).
Letture pubbliche,
recensioni, premi, pubblicazioni su blog sono tutti strumenti utili per farsi
conoscere, ma nulla aggiungono o tolgono alla poesia: ciò che conta è il
rapporto istituito fra sé e il lettore e con la tradizione (la storia) con
cui ci si confronta, la coerenza e il rigore della propria ricerca. E proprio
perché è irragionevole oggi ritenere che un autore di versi (se sia un poeta lo
potrà dire solo il tempo) possa trarre qualche vantaggio oggettivo dal suo
scrivere (se non l'effimero a cui ci costringe la società contemporanea), credo
che l'unico motore che porta a scrivere versi sia un bisogno interiore
imprescindibile, la cui causa è per chiunque un mistero. La poesia è uno dei
bisogni fondamentali dell'uomo: è una declinazione del nostro respiro, è
connaturata all'idea stessa di esistenza.
Le parole che sorgono sanno di noi
ciò che noi ignoriamo di loro. (René Char)
Basta, quindi, una resa
incondizionata dell’io cosciente per scrivere di poesia e, per dirla con
Bonnefoy, «L’uccello
varca il canto dell’uccello ed evade»?
Credo che Char,
nella citazione riportata, abbia bene espresso il senso della poesia, tutto il
mistero che presiede al suo atto creativo. La poesia ci sa cercare e fare
emergere di noi aspetti che non avremmo sospettato, ma è al tempo stesso
qualcosa di inafferrabile, la parola ci agisce anziché essere agita: non è uno
strumento nelle mani dell'autore ma un soggetto agente essa stessa. Come
sosteneva anche Valéry, il primo verso è sempre un dono degli dèi, a ricordarci
che la poesia sorge da una sua necessità intrinseca e il soggetto poetante vi
interviene a nascita avvenuta, aiutando questi versi neonati a crescere,
applicandovi la propria poetica che è l'insieme delle scelte formali e della
sua visione del mondo, credo e ideali.
In questo senso
non penso che la poesia sia solo frutto dell'attività inconscia ma
necessiti sempre di un contributo attivo da parte della componente razionale
che, volendo sottoscrivere la più antica dottrina filosofica di matrice
aristotelica, è il carattere distintivo dell'uomo rispetto agli altri essere
senzienti, così come il senso estetico fine a se stesso tipico dell'uomo,
deliberatamente ricercato come arte per l'arte, non ha riscontro negli altri
esseri viventi. Vero è che la poesia sa però esprimere quel cono d'ombra che la
ragione da sola tende a escludere o comunque è impossibilitata a decifrare (il
canto che evade di cui parla Bonnefoy), integra la
nostra "baseline" razionale emendandola dalla sua logica
utilitaristica e meccanicistica: aspetto che la rende tanto più indispensabile
nella contemporaneità, prostrata dall'ansia dell'utile e del profittevole. In
questa accezione ogni poesia è sempre un atto politico, è sempre motore di
cambiamento.
Bio bibliografia
Fabrizio
Bregoli, nato nella bassa bresciana, risiede da vent’anni in Brianza. Laureato
con lode in Ingegneria Elettronica, lavora nel settore delle telecomunicazioni.
Ha
pubblicato “Cronache Provvisorie” (VJ Edizioni, 2015), “Il senso della neve”
(puntoacapo, 2016), “Zero al quoto” (puntoacapo, 2018). Ha inoltre realizzato per i tipi di
Pulcinoelefante la plaquette d’arte “Grandi poeti” (2012) e per i Fiori di
Torchio il libro d’artista “Onora il padre” (Seregn de la memoria, 2018).
Sue
opere sono incluse in “Lezioni di Poesia” (Arcipelago Itaca, 2015) di Tomaso
Kemeny, in “iPoet Lunario in versi” (Lietocolle, 2018) e in numerose altre
antologie e riviste.
Partecipa
a letture poetiche, dibattiti culturali e blog di poesia. È stato membro di
giuria nei Premi “Il giardino di Babuk” e “Rodolfo Valentino”.
Ha
ottenuto diversi riconoscimenti e premi, fra questi gli sono stati assegnati il
premio San Domenichino e Dante d’Oro dell’Università Bocconi per la poesia
inedita, il premio Gozzano per la poesia edita, è stato finalista ai premi
Montano, Bologna in Lettere e Caput Gauri.
È incluso
nel censimento dei poeti italiani del sito Italian Poetry, che si pone la
finalità di diffondere la poesia italiana nel mondo
Il suo
sito personale è
Testi
Passare
la domenica allo specchio,
estrarre la sequenza delle rughe
per
farne perno, fingersi più vecchio,
rimpiangere
il passato fra le fughe
delle
piastrelle sorde ad ogni passo.
Così si
sfoglia l’album di famiglia
convinti
che ci possa dar la sveglia
con
rapidi rintocchi di memoria,
rivedi
poi la maschera di Zorro,
lo scudo
di Mazinga, l’uomo ragno
gettare
la sua tela in bianco e nero
sul
volto imbalsamato di chi resta
e in
controluce sai, si fa straniero.
È vita trattenuta
sulle labbra,
riavvolta
sulla spola il lunedì
nella
promessa nuova del mattino,
resistere
alle code in tangenziale,
fuggire
il cannocchiale del vicino,
indovinare
il titolo al giornale
espedienti
tutti, e ali di fortuna,
sopravvivenza
spiccia, da manuale.
Il
cellulare piatto sotto petto,
la
giacca abbottonata, la cravatta
fanno
scordar l’azzurro del costume,
la
chiazza di colore, dozzinale.
È tempo
d’oggi, d’attizzare il lume
del
quotidiano giogo al carnevale.
(da
Cronache Provvisorie, VJ Edizioni – 2015)
Scruto dalla
finestra
come dal più
preciso dei cannocchiali
la finestra,
identica, della casa di fronte,
i lampioni
inclinati, l’asfalto lucido di pioggia,
lo scomposto
accostarsi delle zolle
che si perdono
nelle fessure della terra,
la calce fresca,
la sabbia, i mattoni ammucchiati
e un ramo
nel coacervo dei rami, quel ramo.
E sai che non è
ramo quel ramo se non lo nomino
come non è
parola la parola che pronuncio
ma è la distonia
di ogni altra parola
se non la credi
vera.
Per questo non so
come affacciarmi sui giorni
stretti in questi
nostri tempi di tumulti
nel dirupo dei
tempi, tempi gravidi
di labbra di
ghiaccio secco
di lingue
tappezzate di chiodi
di trachee
carbonizzate nella roccia.
La scacchiera è
sgombra, si richiude sul legno
ma sospetto delle
tende, dei vetri appannati,
delle pupille
dilatate, della luce volubile.
Altri erano gli
spazi su cui sporgersi
con le unghie
linde, la saliva impaziente sui denti,
le pietre, gli
steli da raccogliere.
Abbasso lenta la
tapparella, sugli occhi,
e, con un battito
di ciglia superstite, su questa carta
muovo le ultime
armate inesistenti.
(da Il
senso della neve, Puntoacapo - 2016)
ELETTROFORESI
M’imponi,
necessità inalienabile
reverenziale
rispetto del verso
come fosse un
sacro crisma, un cristallo
da imballare con
la dizione fragile,
t’aspetti
assoluzione consolante
di rima ritmo luna
amore stelle,
per lo meno
l’aderenza al canone
in questa
incontinenza dell’esistere.
Nella congerie
osmotica del secolo
che vede l’uomo al
bivio del suo nulla
non serve un
trabocchetto, la fasulla
moneta
dell’incanto ad ogni costo,
bisogna distillare
il sentimento
disporlo in una
curva intellegibile
e farne il
diagramma degli stimoli
dargli la giusta
coppia, potenziale
impulso e carica,
elettroforesi.
Il verso va
pressato all’essenziale
sforbiciato,
sfrondato con tronchesi,
la nostra
persistenza ormai è endemica
s’appoggia a pochi
esatti gesti certi:
il cambio gomme,
la curva glicemica
il piano di
raccolta dei rifiuti
l’adeguamento
ISTAT, la giusta diùresi
l’IMU e l’alvo
regolari, l’afèresi
del poco che vale,
dal tutto vile.
(da Il
senso della neve, Puntoacapo - 2016)
Fosse poesia
potrei indugiare
su qualche vezzo cromatico,
un radere
di luce tra
capelli e volto, indulgere
a un virtuosismo
lirico, un pacato
trasgredire
metrico, i trucchi buoni
che lusingano in
una lana di fiato
stemperano la voce
che s’aggruma.
Ma questa scena è
minima, assoluta
non si concede
appello, assoluzione.
Lui siede agli
scalini, tra i piccioni
le gambe lacerate
dalle piaghe
intruso tra quei
cenci, qui recluso
in un rettangolo
di cicche, di sputi
lo sguardo
arrovesciato su detriti
di storie, ciò che
ne resta tra le unghie
sudice, un bicchiere,
stente monete.
Chiede nuda
evidenza del suo esserci.
E non serve una
poesia, un altro alibi.
(da Zero
al quoto, Puntoacapo - 2018)
«Imperciocché
come evidentemente
ex art.3 comma 7
bis del regio
decreto al titolo
III e per l’uso
invalso e il
potere ivi conferitomi
dico sciolta dalla
congrega d’atomi
la fattispecie dei
presenti, assolti
in contumacia o
difetto di norme
visto il parere,
letti e vistati -ati
condoni, doni o
emolumenti esenti
Cesare a Cesare e
dio -Io -Io –Io…
Qui mi unisco al
cerchio unanime, esanime
ricostruiremo
pezzo a pezzo, pezza
a pezza, pizzo a
pizzo, salvo deroga
tranne fiscalità
ordinaria, in primis
i familiari,
stanti impedimenti
dirimenti - spread
vis si sis affinis…
latera et cetera
in nomine patris
crucis homo homini
lupo de lupis»
La bocca
sollevò dal fiero eloquio
quell’orator,
negandola ai microfoni,
dal tumulo di
polvere e macerie
s’accommiatò con
passi lievi e mesti
per doveroso
debito cordoglio
(pel garbo che si
deve a scarpe lucide).
Poi memore del
luminol
il lodo promulgò
per ripulire
le impronte degli
artigli dalla scena.
(da Zero
al quoto, Puntoacapo - 2018)