Una poesia che avanza
non senza qualche pausa, quella di Angela Caccia.
Se pare indugiare, lo
fa per guardarsi brevemente attorno, per poi procedere a colpo sicuro diretta
al bersaglio.
C'è un abisso negli
occhi che si fa orizzonte per chi non può vedere.
Già
Freud invitava a rendersi ciechi artificialmente per poter accedere a ciò che
in altro modo non può essere accessibile. Ne facciamo esperienza comune in
sogno.
Certo
nel verso occorre scegliere le parole giuste, utilizzare i segni d'interpunzione,
operare un montaggio minuzioso delle immagini.
Angela dirige
il lettore ma non lo rende fruitore passivo: se questi ne segue le tracce a
piedi scalzi ben potrà imprimere, se lo vorrà, orme nuove. Ed è la stessa
autrice a invitare a farlo nella splendida dedica iniziale.
Il
primo canto, uno dei migliori dell’intera raccolta, è programmatico: non si
attraversa indenni la vita su questa terra, bisogna fare esperienza del male per
riuscire a tenergli testa ma il dolore che l’accompagna non può essere
addomesticato.
Se
il gesto non consola, la parola può diventare un’arma impropria.
Proprio
da questo campo di battaglia può elevarsi la poesia, come un sentiero d’alba
che apre orizzonti nuovi da cui ripartire.
Angela
non è madre abbandonica, viceversa attenta e premurosa; nella sua poesia il
mancato abbraccio è solo un abbraccio che tarda ad arrivare e il silenzio
l’attesa di una voce che sempre torna.
la voce, la voce è un tornare in pista- qui/ sul foglio, resto negli
argini di un bosco, /grembo di antica madre
sono io il singulto dei rami/ io lo squittio dello scoiattolo/ il
raggio che si finge liana/ a camminare in una guazza di foglie/ -credimi- si
può tornare alberi
Anche
quando, nel procedere inesorabile del tempo, tutto sembra farsi passato e ogni
cosa perde la parola capace di nominarla può giungere soccorrevole
(…)
un buon verso/quel moto perpetuo che risuona dentro/ anche quando la voce è
finita
Non siamo mai unicamente dove pensiamo di essere,
questo a mio avviso il filo rosso che percorre l’intera raccolta “Accecate i
cantori”.
C’è sempre un dentro e/un dietro nelle
cose/e a volte/la porta non ha maniglia
Giancarlo
Stoccoro