mercoledì 6 gennaio 2016

Nell'apparente linearità del dettato - Recensione di Anna Maria Tamburini



Angela Caccia, Il tocco abarico del dubbio, FaraEditore, Rimini 2015, €. 10,00
Pur diviso in sezioni, il libro di Angela Caccia, Il tocco abarico del dubbio, presenta le caratteristiche non tanto di un'opera strutturata intorno a un titolo, quanto piuttosto di una raccolta di testi cresciuti via via sotto il segno del vivere, nella sua semplice complessità, «un esserci di heideggeriana memoria» - come anticipa l'autrice in premessa - sulle coordinate di spazio e tempo. Un esserci per la morte, dunque, presenza che ricorre inesorabile ma non senza la speranza propria di una religiosità salda, non aleatoria, capace di senso nonostante le domande, il dubbio... , capace di alta tensione etica (Caino pigia un tasto e uccide / di una morte scollata dal dolore, p. 27). E della medesima pietas in morte, tanto che si tratti di volti cari ( Le braccia allungate, p. 20; Tra le mani, p. 34), quanto di più lontane vittime (Lì dove sei, p. 21; Nello sguardo di chi resta, p. 22) ma anche di animali - come la cagnolina Nina ( in Per i tuoi occhi, p. 31) - .

Indicata nell'indice dagli spazi bianchi, la suddivisione in sezioni sembra in vero assumere valore di pausa, respiro, come il silenzio nella musica. Poi in realtà si riconoscono i raggruppamenti tematici. E pagine in versi si susseguono inframmezzate da alcune altre in prosa, per lo più poste ad apertura o a chiusura delle diverse sezioni. Ma nel continuum dell'insieme anche le prose che a tratti affiorano tra i testi in poesia, evocano il ritmo dei versi in un argomentare per via di progressive analogie. È una prosa il testo d'apertura - L'onda del pomeriggio ha una sonorità chiara e una nota cupa, una sola nota - quasi - impercettibile e cupa, che sale dal fondale....(p. 14 ) -, che con i suoi ossimori dischiude subito al lettore le antinomie del reale, fermo restando che si tratta per lo più di di ossimori-sinestesie (sonorità chiara e una nota cupa). E subito tra allitterazioni assonanze insistenze sonore, rime (sale - fondale), si crea quella musicalità di fondo che attraversa l'intera raccolta mentre è evocata un' ambientazione marina. Il mare, che doveva fare da sfondo al paese d'origine, ritorna spesso in questa opera tra un componimento e l'altro anche semplicemente in senso metaforico, per accostamenti o accordi analogici...., come nella successiva prosa - A volte annaspi e ti aggrappi ad una ciambella di nostalgia (p. 40) - dove nella metafora del viaggio per mare, del possibile naufragio (annaspi), salvagente (ciambella) può rivelarsi la nostalgia. Anche la memoria , in particolare proprio nella forma della nostalgia - dolore per il desiderio del ritorno - attraversa questi versi di Angela Caccia, senza cedere al lamento ma salvando vivi e presenti gli affetti, compresi e tanto più quelli nei riguardi dei tanti che hanno lasciato l'orizzonte di questo mondo.

Spazio, tempo, memoria, dolore, solitudine, poesia e omaggi poetici, testimonianza, requiem (Di pietra in pietra, p. 75), preghiera (La nuova rotta, p. 73; Goccia capovolta, p. 86)...che si fa lode..., tutto questo esprimono prose e versi nel libro di Angela Caccia, in una profusione di ossimori di luci e ombre, assenze-presenze, voci e silenzi... e di sinestesie di ogni genere, mai scontate, sempre di assoluta intensità anche nei componimenti meno complessi: vicino e altrove /sospeso senza forma / cadi su di me col suono / della neve - Sul dolore, p. 19 -. L'opposto più ovvio di "vicino" sarebbe "lontano"; mentre il lettore si trova subito davanti come uno scarto di significato, uno scatto, un passaggio: verso un "altrove". Il dolore acutizza sempre le assenze, amplificando al tempo stesso vicinanza e lontananza, ma il lontano è già mutato in altrove e ciò che non si può percepire sensibilmente sembra tuttavia cadere addosso nel silenzio, investendoci secondo altre modalità. Così la neve scende senza fare rumore; ma chiedendo conto del proprio dolore, interpellandolo, il proprio dolore, i versi cadi su di me col suono / della neve esprimono per contrasto uno stridore di gelo, salvando insieme -insieme ossimoro e sinestesia - la leggerezza soffice di quel cadere... In poesia bastano sempre poche parole per evocare tanto in intensità, profondità, altezza... e questa di Angela Caccia è sicuramente più complessa di quanto non appaia nell'apparente linearità del dettato: da una parte si avverte una colloquialità di fondo nei toni di parlata familiare, dall'altra lessico e sintassi fanno ricorso ai linguaggi specialistici (spazio abarico, 39), con tendenza a neologizzare (sottrarsi alla sacca / del tempo che /tacca lo sguardo , p.20; barcarole abbittate, p. 39; Toccherà amicarsi il buio / per scavallare la notte, p. 77; ) o a forzare comunque la sintassi, interagendo sul piano semantico. L'autrice racconta e non racconta; adduce a volte particolari e poi li sfuma o subito li abbandona per introdurre altre immagini, altri segni...e lasciando in una certa ambiguità le vicende da cui prendono le mosse abbozzi di narrazione.

Discorso, riflessione, meditazione, raccolta di pensieri, immagini, suggestioni, intuizioni, fantasie.... tutto questo è il libro, un'opera complessa che al tempo stesso in cui affronta i grandi temi del vivere, indaga sul fare poesia. Anche in tal senso si deve fronteggiare il dubbio: dubbio sulla stessa scelta di realizzare o meno il libro. In forma di lettera, a se stessa, al  libello, al lettore..., l'autrice racconta in qualche modo la vicenda dell'opera, i momenti di arresto, l'incoraggiamento di un amico...la ripresa, sino alla decisione definitiva di pubblicare...

Degni sicuramente di nota gli omaggi ai poeti, ai grandi maestri della poesia (Rilke, Neruda...), della musica (Debussy, p. 84), ma anche a nomi meno noti, come il giovane Guido Passini che Angela Caccia ricorda in memoria in una intensa alta preghiera : Se muore un poeta, Signore / concedigli che il silenzio più ottuso / si faccia canto di una vita, / alla vita che non muore / che si sposta altrove  // è stato l'ultimo suo verso / ancora gli scintilla sulla bocca (p. 76). E giacché i poeti hanno antenne più sensibili alla poesia dei critici o degli editore, consola trovare tra gli altri un omaggio al nome di Margherita Guidacci, voce altissima della poesia italiana contemporanea ancora troppo poco valorizzata sia dalla critica che, tanto più, dall'editoria. Inquieto amore (p. 60) è per altro un titolo perfetto per significare il tracciato di una esperienza di vita e di scrittura quale fu quella della poetessa fiorentina.