Pochi giorni fa rinnovavo
telefonicamente a Griselda Doka i miei auguri per questo suo libro –che, spero,
abbia l’affermazione che merita-, e lei mi palesava un suo timore “…io non sono
italiana”.
Pur sapendo bene che la nostra poetessa è albanese, mi sono stupita,
non tanto della sua risposta, ma del mio eccessivo stupore a quella risposta. Conclusa
la nostra conversazione, ho voluto frugare un po’ nelle emozioni. E sono
giunta ad una conclusione: la poesia è un paese con una popolazione,
geograficamente parlando, di apolidi: qui non fa cittadinanza l’essere nati,
persone, in uno spazio, ma la nascita di un pensiero poetico, che viene subito
imbracato e cullato su un foglio. E quando parlo di pensiero poetico, parlo del
più potente veicolo di emozioni – la Dickinson a riguardo scriveva
Se leggo un libro che mi gela tutta, così che nessun fuoco possa scaldarmi,
so che è poesia.
Se mi sento fisicamente come se mi scoperchiassero la testa, so che quella
è poesia.È l’unico modo che ho di conoscerla. Ce ne sono altri?
Questo libro ha scoperchiato più
volte la mia testa, e per DUE costanti:
la capacità dell’autrice di
reggere la sua visione fino in fondo e, quindi, profondere al verso forza e
potenza. È come se quel suo pensiero poetico si srotolasse e, a sua volta, spianasse
un preciso percorso: Griselda non ha la fretta di arrivare a meta – e la meta,
per un poeta, in cosa consiste?... rovistare nell’emozione che lo sta permeando
fino a riconoscerla e darle un nome. Quindi, nel cammino raccoglie tutto ciò
che il viaggio le concede e che le è necessario per amicarsi quell’emozione.
Leggiamo qualcosa:
C’è un’ ora del giorno
in cui la città filtra la vita lentamente
quando le persiane semiaperte fanno da scudo
al disturbato di turno
che si aggira urlando giustizia
poi elemosina una sigaretta
e insulta chiunque (anche i lampioni),
in quell’istante puoi vedere gli amanti indefiniti,
si incontrano per trenta minuti di tenerezze
consegnandosi al vento
insieme al fischio del folle
e ai miei sospiri.
La seconda caratteristica di
questa poesia- ed ora dirò qualcosa di lapalissiano – è il fatto di essere
poesia secondo precisi percorsi -dico “precisi”, ma dovrei usare il termine
ineludibili.
Quando leggo una lirica – al di
là di quanto somatizza la Dickinson: lo scoperchiamento della testa, il senso
di gelo… – io lettore, devo sentire che il poeta sta portando nel verso le
sue verità che scopro verità anche per me –verità nasce da verio,
riconoscimento- devo, quindi, sentire quella poesia autentica. Anzi, dovremmo
parlare di due autenticità propedeutiche tra loro: Griselda affida la sua
nudità al verso, si concede al verso –sto paventando un’immagine molto sensuale!...-
entra nella sua logica illogica. Ed è qui – per rifarci ai grandi pensatori
Greci- che si manifesta “l’entusiasmo” –tipico del momento creativo - nella sua
accezione etimologica: en theos: dio che agisce in noi, e non sarebbe più il poeta a parlare ma il dio che lo abita. Una sorta di possessione, riconosciuta
anche da Platone che nel Fedro la chiama DIVINA FOLLIA. Ecco, io lettore, devo
percepire questa divina follia, e in un gioco di metafore ossimori e allegorie
mi deve arrivare la verità del poeta.
Perdonami madre
se per sembrarti vera
devo fingere
e amare con amori
che non mi appartengono,
i tuoi occhi infantili
si rintanano
dentro il volto pietrificato,
prigionieri di teneri sogni
non sognati
volontariamente,
mi richiami all’ordine madre
perdonami
se la mia voce non ti raggiunge compiuta
ma intrisa di urli sospirati al cielo
maldestro grembo che lievita.
Perdonami
se non so dare sollievo alle tue vite
rigorosamente plasmate per forgiarne una
mentre io, tua figlia
accompagno per mano le mie
vite anonime, impacciate, ostinate
cercando di salvare l’unica
la tua.
Mi dispiace madre
se non ho mantenuto la grande promessa
se ho disobbedito
e non
ho imparato a volare
per la
tua gioia
se
ancora dimentico
di
chiudere la finestra
e il
freddo lo vedo un fedele compagno
che mi
sveglia
come le
tue medaglie
senza
lati da mostrare.
Ed ora è d’obbligo una piccola digressione che, forse,
aiuterà a capire meglio quanto fin qui espresso. Ieri, come ancora oggi,
troviamo Poeti e poeti – i primi con la p maiuscola i secondi con la minuscola:
ma il poeta dovrebbe essere uno e inconfondibile e lo riconosci, appunto, nel
vortice di quella possessione. Poi ci sono i poeti a tavolino, i poeti per
tecnica - molti sanno anche camuffarsi bene.
E qual è, per me lettore, il riscontro
per distinguere il Poeta dal poeta?
Solo chi sa lasciarsi rapire dalla sua visione, dal
suo entusiasmo, raggiunge l’epoptèia, che letteralmente significa GUARDARE AL
DI SOPRA. È proprio questo punto di visuale che concede ad entrambi - poeta e
lettore- un privilegio: il privilegio di decifrare al meglio il proprio passato
e di tracciare la propria identità. Tra l’altro, la poesia, più di ogni altro
genere letterario, assicura la buona manutenzione delle proprie emozioni e,
quindi, del proprio io.
L’ho pagato a caro
prezzo
il mio cammino nei
pressi
del vulcano
dove vietate
sono
le azioni prodigie
e i passi
avventati,
l'essenziale è un
velo di cenere
sulla soglia
dell’oblio
che si vaporizza
lentamente
al passaggio del
vento,
ma io mi dissocio
dalle sfumature
anonime
da chi ha giurato
il falso
per difendere il
mio nome
da chi ha
sacrificato quel poco di amore
sotto la tenaglia
della paura
sono quella mancia
d’orgoglio
del corpo che resta
dopo il terrore
e la dignità
venduta,
sono il grumo di
sangue
che mai piangerà
per vigliaccheria
e mai sputerà
una scintilla
dimenticat,a
cercherò ancora
delle mani amiche
perché io sono
quell’anima su tre
che si dissocia
in nome del fuoco
e del coraggio
e ancora
Mi hanno abbandonato i pensieri
veri
quelli che scavano la gola
e picchiano la testa,
mi specchio in te
e non mi rivedo,
oh povero gabbiano impaurito
che sfiori appena l’aria
sopra la mia frangetta,
vorrei raggiungere quella vela
lì, all’orizzonte
ma lo sguardo ritorna ancora
più perplesso
e si stende sul bagnasciuga del
mio viso.
Raccolgo le membra
la chiave
gli occhiali,
nessuna novità dalle onde oggi
non trovo alcuna ragione per ridere
e mi vergogno
Abbiamo parlato di due forme di autenticità: Griselda
che dona la sua nudità al verso e, quindi, dal verso pretende che si faccia
vetro trasparente cristallino. E termino con uno scorcio della mia postfazione:
nel verso sincopato il riflesso di
un’essenzialità che ha dell’inesorabile: malinconico, dolcissimo, pare intonare
un’antica nenia albanese. A volte è un tamburo di guerra. Il ritmo deciso
inneggia al coraggio e alla fierezza di un popolo che, nella Nostra, non si
identificano solo in radici, vanno oltre: una pregnanza viva e attiva, di cui
sarà ricco lo sguardo, di cui ne è già testimone la parola.
Ed ora rispondo al timore della nostra
Griselda – io non sono italiana-
Ciò che fa la differenza tra le piante è il seme, ciò che le
accomuna è quell'intreccio
sotterraneo di filamenti diversi che svelano quel groviglio/abbraccio tra
distinte radici. Ecco perché ho avuto piacere
a raccontare di questo libro: ne ho sentito sorella l'autrice.