Ragazzi, che bello!... e lo
dico con uno stupore che non mi conoscevo… Che bello poter sguazzare nel
nitore: un verso dove impera la normalità!
Che bello poter usare anche in
poesia questo termine –normalità- che mi allontana dall'istrionico poeta così pieno
di sé da farcire il verso di ogni volgarità, a ribadire che lui è l’unico ad usare
un linguaggio autentico, lui l’inconfondibile e anche lo sconcio; o
dalla poetessa che infila un’accozzaglia di parole cacofoniche strane, e stai con lo zingarelli in mano mentre attendi che spunti il soggetto,
l’artefice di questo malanno (lo troverò alla strofa di sotto… no, non c’è,
proseguo…) e arrivi all'ultimo verso senza capire con chi ce l’abbia.
Che bello poter ingollarlo
quel verso -e non dover usare le mandibole, abituate ormai a triturare con
forza- per quanto ti si scioglie al palato, vibrano sinapsi in tutto il corpo.
E scoprire che gioia e dolore –in quel verso- non sono sconosciuti che bussano
inattesi alla sua e alla tua di porta e ti sconvolgono, ma ospiti trattati con
lo stesso riguardo, e ospiti di riguardo: ribadiscono solo e sempre vita nel
suo corso.
Spiritualità che si dischiude lenta luminosa, la stessa luce che dalle tapparelle, in estate, sprizza
e sveglia, basterà sollevarle per trovare, dietro i vetri, un sole appeso. Sta
colorando di mille e mille tonalità le solite cose che
cadevano sotto gli occhi, e ora, all’improvviso, profumano di nuovo di buono.
Per quanta normalità, la
poesia di Mariangela Gualtieri non riesci a guardarla
negli occhi, non si allineano, i tuoi, ai suoi assi visivi. Di lei ti raggiunge
la voce ad indicare una direzione, perché è poeta della visione altra, della
visione oltre: a due dita sotto la tua stessa terra, a due dita sopra lo stesso
cielo.
(A Mariangela Gualtieri)