Ci sono libri di poesia che si
stagliano con forza e, verso dopo verso, ergono nell’intimo come un paese, e lo
ami da subito per quel tanto, o
per quel poco, di misterioso che ritorna e affascina. Libri che, una volta letti e richiusi,
continuano a riverberare un gusto pieno, così variegato, difficile da
ricondurre ad un quid unicum.
Ho il dubbio che sia stato il mio
olfatto a leggere questa silloge: un
potpourri di spezie avvolge travolge stordisce.
Difficile capire la provenienza di ogni afflato, ma è tangibile la solidità di
un profumo che gli appartiene e lo connota.
Tema di alcune liriche, uno struggente
amore filiale; in altre ritorna, in un sommerso e imprescindibile fil rouge.
Declinato in più sfaccettature, l’anima dell’autrice, sovrapposta a quella
della madre o del padre, è dolente: non si identifica; oppure assurge ad un
prolungamento del loro spirito quasi a completarlo e rinnovarlo; ora è un
“felicemente altro” dall’origine a cui
resta profondamente grata.
Nel verso sincopato il riflesso di
un’essenzialità che ha dell’inesorabile: malinconico, dolcissimo, pare intonare
un’antica nenia albanese. A volte è un tamburo di guerra. Il ritmo deciso inneggia
al coraggio e alla fierezza di un popolo che, nella Nostra, non si identificano
solo in radici, vanno oltre: una pregnanza viva e attiva, di cui sarà ricco lo
sguardo, di cui ne è già testimone la parola.
Ciò che fa la differenza tra le piante
è il seme, ciò che le accomuna è quell'intreccio sotterraneo di filamenti diversi che svelano quel
groviglio/abbraccio tra distinte radici. Ecco perché ho avuto piacere a raccontare di questo libro:
ne ho sentito sorella l'autrice.
Dalla mia visuale – una fucina che, nel bene o nel male, sbruffa fumi -, è poesia che rientra appieno nella categoria “riuscita” per quanto sa adempiere alle sue ambivalenti funzioni: provocare/confermare, stupire/intrigare, sbaragliare/addensare, consumare/innescare; in una parola, agire fino ad una sorta di purificazione che fa sentiero all’armonia, catarsi che solo la buona poesia sa attivare.
Ai critici, poi, il compito sapiente di
fare le pulci.