DA SOLO LIBRI.NET
Guardare la vita altrui dal buio, quante volte lo abbiamo provato?
In una sera smarrita desiderare panni più semplici e un guizzo di gioia che non
ci appartiene. Così Angela
Caccia con Il tocco abarico del dubbio ci introduce con garbo nel suo mondo,
mentre le piume sbatacchiate di un uccello rendono l’anima partecipe e profonda
nel mistero della vita e del dolore. Ma per la poetessa anche il dolore può
diventare compagno di viaggio, animale da compagnia che non si è cercato ma a
cui infine ci si affeziona tanto da dargli un nome.
Con un linguaggio
ermetico e ricercato, termini preziosi, un periodare franto, permeato di
sentimento che non parla quindi alla ragione ma direttamente all’anima (Poesia è quella parola che, per
fortunate o abili combinazioni, dà più di quanto dice), Angela ci
racconta di sé, di quel sentire sempre la presenza del mare, in un gabbiano,
una conchiglia dalla voce di vento, ma anche in un barcone affondato e in
spoglie che faranno parte di quel grande abisso, mute. E poi fiori tristi,
misti all’asfalto, e l’amarezza al pensiero di aver sprecato l’amore in una
fragilità dell’esistenza che fu nota fin dall’antico a filosofi e poeti, finché
Ungaretti, riprendendo antichi cantori, ci paragonò alle foglie.
“Come stirpi di foglie,
così le stirpi degli uomini;
le foglie, alcune ne getta il vento a terra, altre la selva
fiorente le nutre al tempo di primavera.
Così le stirpe degli uomini: nasce una, l’altra dilegua.”
(Mimnermo)
fiorente le nutre al tempo di primavera.
Così le stirpe degli uomini: nasce una, l’altra dilegua.”
(Mimnermo)
Ed è proprio in questa
fragilità che ci si aggrappa all’amore, al sentimento, semplicemente per sentir
qualcuno condividere il nostro destino di esseri mortali, destinati alla terra.
Fato condiviso anche da un cane che sta morendo, da un Cristo sofferente che
indica la via per la resurrezione e da un’amica, che, si spera fino all’ultimo,
la morte pietosa possa lasciar tornare. La natura è anch’essa certezza di
bellezza, altra via di fuga insieme alla memoria che invade ogni spazio, anche
quello “abarico”, senza atmosfera né peso, lo spazio sospeso tra ieri e domani,
un oggi scialbo, incolore. In questi versi ritroviamo omaggi a pittori come
Picasso e Cèzanne, musicisti come Debussy, un fugace rimando a Proust e la sua
madeleine, ma anche alla grecità, con la Pizia e Medusa anguicrinita, e alla
latinità nell’etimologia di ab solutus. Ma tali
gioielli colti ed elevati non distanziano il lettore, perché l’autrice lo sa
ammaliare con la musica delle parole, con quei "brillano vibrisse" e
"calli di lana".
Un
libro di poesie davvero curato in ogni particolare, che offre ad ogni persona
che vi si accosterà qualcosa di diverso, proprio perché non si rivolge alla
ragione ma è uno shock che, attraverso la pelle, raggiunge nervi e vene.