Nel filmato, un’intervista a Padre Criveller nel corso del programma Frontiere dello Spirito dello scorso 17.5.2015.
Dopo aver letto “Il tocco abarico del dubbio”
Di Gianni Criveller
Mi si perdoni una necessaria premessa: non ho competenza di critica poetica. Scrivo soltanto le emozioni e i pensieri che le belle poesie di Angela Caccia hanno suscitato in me; confortato dalla stima dell’editore Alessandro Ramberti per qualsiasi cosa avessi avuto da dire.
Innanzitutto il titolo, Il tocco abarico del dubbio, inusuale e scelto senz’altro con ricercata cura. La ricercatezza linguistica, fatta di termini rari (come abarico, valva, piato, pizia, gheriglio, sciabordio, tramestio), o persino di neologismi (almeno credo che tali siano nuvolaglie, smagare, stellante, piantumare, spighino …) è una delle caratteristiche di questa raccolta. I termini difficili, che esprimono la fatica del rendere pensiero ed emozione in parola scritta, sono peraltro inseriti in un linguaggio prevalentemente familiare, quotidiano e naturale.
Immaginare i nostri aliti nel freddo
colorare pensieri informi
mendicanti di parole (54)
Torneremo sul linguaggio poetico mutuato dalla vita quotidiana.
Il termine ‘dubbio’ non appare poi così frequentemente nei versi della poetessa. E dunque c’è da chiedersi: di quale dubbio ci parla? Il dubbio si oppone a certezza, e siamo in un’epoca in cui il dubbio sembra bandito, soprattutto dalle religioni: in esse si impongono ormai, come un’inarrestabile calamità, le certezze da inculcare, e fanaticamente, con ogni mezzo, anche con la violenza e la morte. Angela Caccia, che ha un animo evidentemente religioso, presagisce che la fede sincera, l’unica degna dell’uomo, è amica del dubbio piuttosto che della certezza.
Il dubbio appartiene in modo più pertinente alla nostra umanità, fatta di nostalgie e assenze (temi che Caccia sente molto suoi). L’esperienza quotidiana degli affetti e dei ricordi non ci restituisce certezze, ma piuttosto speranze. Il dubbio ci indica la speranza (saremo noi l’aurora/gli occhi puntati ad est, 88). Una delle speranze più forti dell’autrice, una specie di ansia, è quella di trasmettere ai propri figli, ai quali dedica la raccolta poetica, un degno lascito, quanto lei sente di più prezioso. Non può avere la certezza di riuscirci, ma la speranza si. Forse è questo uno dei dubbi che avvolge l’autrice.
E chiedi a me
il senso della vita
a me
che ho mille risposte
e nessuna (88)
Il lascito prezioso di Angela Caccia è fatto di amore per la vita e di dolore per quanto toglie la vita: i barconi che affondano in fondo al mare; i rifugiati che attraversano confini trovando la morte; la guerra e i bombardamenti; e poi la morte prossima ventura della scrittura cartacea e la tirannia della telematica, che impedisce di vivere davvero. Una poesia che ha dunque una valenza civile: il nostro mondo contemporaneo, così dolorosamente provato, trova spazio nei versi di questa raccolta. E, come scriveva Etty Hillesum, non si ha diritto, non è possibile, scrivere di dolore, di per sé inesprimibile, se non si è poeti.
Resisti Nina
resisti da sola
così curva
in questa pozza di dolore
ci fosse un dio dei cani …
non ho parole sacre (31)
Nella poesia di Caccia trova spazio soprattutto la vita, nella sua pienezza e concretezza. Le donne, spesso più di noi uomini, vivono in simbiosi con la natura, la materia, il corpo. Ne conoscono il linguaggio. Nelle poesie tornano spesso gli organi del corpo, a partire dalle braccia, che abbracciano, un tema ricorrente, di evidente carattere affettivo. E poi le mani, gli occhi, le pupille, le palpebre, i denti, la pelle, il sangue, il ventre, il petto, i fianchi, le ginocchia... Non conosciamo altra vita (e altro amore) che quelli sperimentati nella fisicità delle relazioni.
Dietro le palpebre
in riflesso
Il mio cosmo
il posto delle cose (85)
Il cosmo di Angela è lo spazio e il tempo dentro cui si vive. Il tempo è protagonista nelle poesie di Caccia nelle cadenze delle ore del giorno: alba, mattino, pomeriggio, tramonto, sera, notte. La poesia di Caccia è segnata, in modo impressionante, dalla quotidianità; sembra talvolta racchiusa in un episodio di 24 ore (pur in presenza anche dei tempi delle stagioni).
E poi, ugualmente addosso ai versi, c’è lo spazio, quello della natura che pervade in un modo più ineluttabile di quanto siamo disposti ad ammettere, la nostra esistenza. Questa realtà non sfugge alla sensibilità (femminile) di Angela: quante volte il cielo, il sole, le stelle, la luna, vengono menzionati. Ma non solo: le nuvole, la pioggia, l’arcobaleno, la neve, la luce, la terra, il lago, e tanto volte il mare… E i colori. E gli uccelli…
C’è una ricorrente figura della natura che mi ha colpito in modo particolare: il vento. Ho pensato a Grazia Deledda, che ho avuto modo di rileggere recentemente, i cui romanzi sono costantemente sconvolti dal vento. Un vento incessante, pervasivo, inquietante… che scuote gli alberi, il paesaggio, la natura. Ma che soprattutto sconquassa le anime, sempre sconvolte, sempre sottosopra, dei suoi personaggi. E il vento scuote anche le poesie di Angela Caccia.
Si dimena
un vento di conchiglia che
maledice le sbarre (16)
Una vertigine
Il colore del vento tra le foglie … (27)
Voci di dentro
gli amori ventosi (67)
Servirà un crinale per trovarlo
e scoprire la parte più ventosa di sé (80)
Preghiera
che stasera
mi sei vento e coperta (83)
Le poesie, come le canzoni, non ci sarebbero così care se non parlassero d’amore. E, tra tutte, sono state proprio le poesie d’amore che più mi hanno colpito. Nella parte centrale del prezioso e curato libretto ve ne sono diverse, tutte molto belle, evocative e suggestive. E naturalmente l’amore è fatto di nostalgia, di occasioni sprecate, di attimi troppo brevi che non tornano più… di assenza soprattutto.
Un lago la tua presenza
ed io cigno maestoso
ti navigavo
…
Relegato in un ricordo
accatastata la tua assenza (48)
Se ti avessi incontrato quando lo sguardo
era alto e mi era facile tremare d’amore
…
Quando non mi bastava un giorno per riempirlo
di parole e profumava di rosa la rosa
ed era lei che mi annusava.
Ogni giorno raccoglievo con cura
le mie promesse in una cesta bucata,
che puntualmente si svuotava
…
Se ti avessi incontrato sulla rotta di quel vento
quando la speranza camminava a branco
la fronte al vetro già ti cercava
ti faceva sogno e, al mattino, canto… (50)
Eppure, così sembra dire Angela ai suoi figli e a noi lettori, vale sempre comunque la pena di amare, anche quando ci sembra di sprecare il nostro sentimento. È forse questo il lascito che la poetessa vuole trasmettere. Un lascito che sorpassa i dubbi che le vicende della vita seminano nei nostri animi. Meglio amare e soffrirne, che non amare affatto. Nel tempo si impara ad amare. La poesia d’amore di Angela è infatti impregnata di assenza (frequentemente menzionata), di malinconici ricordi, del desiderio di un vero abbraccio, mai di disperazione.
Vorrei tornarti amica
come una volta
come una volta per mano
nel chiaroscuro del bosco (54)
Lasciami i tuoi occhi
...
aprirò con le tue
le mie labbra al bello.
…
Resto nel tuo sguardo
una pianura placida
un sogno senza scadenza
è in questa luce spersa
la tua assenza
l’ombra colma la stanza (47)
Un abbraccio questa notte d’estate
e noi abbandonati
senza più pelle
…
Restiamo insieme
ti prego
…
e insieme
nell’ultimo spicciolo di notte
saremo noi l’aurora
gli occhi puntati ad est
e il fiato corto (88).
P.S. Commuove la presenza, nella pagine di questo libro, di Guido Passini. A lui è dedicata una poesia (Se muore un poeta, 76) e di lui è riportato un breve commento alla poesia di Angela Caccia, descritta come efficace, semplice, “educata” (credo intenda dire ‘gentile’). A lui, Guido, dedico questo mio commento, sperando sia stato efficace, semplice e gentile come era lui.