Ci sono
pensieri pervasi da un silenzio che si chiama pudore, timidezza o semplice
discrezione; pensieri che, una volta espressi, continuano a risuonare in chi li
accoglie perché ne riconosce un’eco familiare: parole parlanti. Leggere
Domenico Cipriano equivale ad entrare nelle sue stanze segrete – simili alle
nostre e, molte volte, a noi stessi sconosciute - che, in un verso deciso
eppure così morbido, schiude ad una ad una, a poco a poco.
Già nella
dedica, “a Sofia, il centro del mondo”, si intuisce quale il loro punto di
fuga: un centro che si identifica nell’amore per la figlia – l’amore paterno è
quello più vicino al sacro perché ha estremi irrazionali e imponderabili come
una fede -, non può non irradiarsi all’intero mondo, e diventarne il filtro, un
ponte, l’abbraccio.
Fili, i
versi, che ora si estendono sino a toccare lontananze di affetti così presenti
e vivi
A
mio padre
Si
è raggrumata in sogno
la
sequenza dell’adolescenza
noi
due seduti: tu intento
a
leggere il giornale, io
un
libro, cogliendoci nelle parole,
fermando
quell’istante quotidiano
complici
gli odori della casa
il
calore della stufa a kerosene
e
il velluto a scacchi delle poltrone (…)
A
mia madre
Nella
nostra casa sono cresciuti
i
ricordi, i discorsi di gesti consueti
che
ora non possiamo vedere.
Commentiamo
al telefono sprazzi
di
giornate incolori, senza dettagli:
quasi
scompare la vita all’assenza.
Ma
le carezze erano l’infanzia
e
il nostro vivere sapendoci vivi
fingiamo
ci basti.
ora si
contraggono ripiegandosi su sé stessi per godere quell’attimo che ci/si astrae
dal tempo e si fa sapore fugace di
eternità
Nemmeno i corpi uniti
nell’amore
E racchiusi in un
respiro solo sanno dire
Dell’immenso in cui mi
perdo ora
Per questo tramonto
vulnerabile e mobile
Nel bagliore di una
luce sterminata
Tra le voci
intrecciate in lontananza.
Versi,
questi ultimi, che sembrano evocare la dolce felicità di leopardiana memoria
dove l’infinito/felicità si identifica nella totale assenza di attrito.
Struggenti
di tenerezza le liriche dedicate alla moglie: nel suo amare, fase successiva
all’innamoramento, il nostro si rivela “ancora” perdutamente innamorato
Attraversati
dalla falena dell’intimità
non
sussurriamo parole, i pensieri
ci
nutrono senza darci voce. Siamo
vicini,
in una pacata solitudine,
senza
timore dei silenzi su questo
treno
lento, sicuri che siamo in due
a
guardare gli alberi lì fuori.
C’è un fil rouge che lega, anche implicitamente, molte
liriche: il tempo. Il tempo nelle tre dimensioni, nelle sue sfaccettature, da
diversi punti di visuale: e il pensiero ha una gittata ora corta ora lunga nel
tentativo –ahimè, vano – di assorbirlo tutto e motivarlo nel suo incedere. È importante l’attimo, è vitale, non basterebbe
una fotografia a immortalarlo, ci vogliono le parole e parole esatte per
scavarne ed esaltarne l’essenza:
Nell’ora
dai toni grigi, quando
l’inverno
prova a scomparire
e
si accendono gialli i falò
sulle
rampe dei presepi morti
la
luce si assopisce lieve
sul
crinale esposto al vento,
la
tua pace ritrovata è grazia
simile
all’assenza arsa.
E ancora
Nell’attesa
calma della cena
il
rosso misura l’istante riflesso
dell’animo
fuori dal corpo.
Curva
si dona la penombra
si
allunga, si scansa e concima
l’assenza
nella riflessione,
la
luce abbaglia e deforma
ogni
riflesso di foglie. Compare
nella
piazza da tempo svuotata
l’ombra
solitaria del doppio
racchiusa
nella coda dell’occhio.
Non è paura
d’invecchiare, la sua, forse nemmeno quella di morire. Cipriano pare voler
scansare col suo verso laser una prerogativa, la bestemmia che grava
sull’umano: l’abitudine a contrarre
abitudini, occhi da miopi che assommano e travisano. Forme di adattamento
che Bergson chiama “memoria senza ricordo” capace di generare automatismi che
non ricercano più la consapevolezza dell’esistere, dell’essere.
Il nostro –
vivaddio - è fuori dal coro, rifiuta ogni forma di memoria/abitudine e si
lascia attraversare, anche dolorosamente, dal ricordo, dall’emozione
dell’attimo, e solo per vivere profondità a molti inaccessibili, di cui si fa,
in un luminoso verseggiare, suo indiscusso testimone.