Il
“modesto scrittore di poesie e lettore di queste” – così si definisce il Dott.
Costantino Simonelli, medico, fine poeta e critico tra i più spietati e veraci
- è uno dei miei incontri più fortunati e fruttuosi in internet. A quest’ultimo
sono grata: nel suo mare magnum molte le ciambelle di salvataggio e, come in
questo caso, un autentico veliero, sospinto da venti generosi.
Il suo scritto mi ha commossa e mi commuove, profondamente:
GRAZIE!
AC
Conosco Angela Caccia per occasionali
incontri sul web in comuni luoghi in cui si discute di letteratura e poesia.
Non so la sua storia di vita né il suo percorso poetico. D’altra parte, io sono
solo uno dei tanti modesti scrittori di poesie, lettore di queste, a volte
affamato, a volte sazio sino all’ “abboffamento”, qualche volta alla ricerca di
un verso nuovo, sagace, importante, che ti penetra dentro e ti fa pensare,
immaginare, rivivere certe cose dimenticate; in due parole, evocare e
rievocare. E se proprio quel verso è forte, crearti un sano conflitto.
A volte bastano, di tutta una silloge, uno
o due versi con questi connotati sopra espressi per appassionarti a tutto il
resto, per aver voglia di scoprire la chiave di lettura di tutto il resto, per
volere creare una sorta di simbiosi momentanea con l’autore di quei versi.
“Ti
scrivo dall’aurora” Sembra un verso d’incipit quasi insignificante, e può
essere che lo sia, ma io credo di no. Credo che in questo incipit – l’atto forse più spontaneo di tutta una poesia,
l’input – si celi buona parte della poetica di Angela. Almeno di quella più
sana, quella inconscia.
A me ha dato questa idea fantasticata a
modo mio: “Ti scrivo” . Ho immaginato un reporter, di quelli che siamo usi a leggere
sui giornali o vedere in televisione in
situazioni di guerra o di altre angosciose situazioni vitali, provare a
descrivere una realtà in affanno o in dissoluzione. Ma a differenza di questi,
sorprendentemente, stupendamente, il luogo da dove il reporter scrive è
l’aurora.
L’aurora ricorre spesso nella poesia di
Angela. Io mi immagino che per lei sia il luogo più protettivo del suo ideale
di vita e delle sue speranze. L’aurora simbolicamente significa riproiettare ,
riprogettare un altro giorno, un’altra vita vissuta nel bagliore – luce “che
sporca il buio della notte” .
E’ come dire “ti scrivo da reporter, da uno
che la realtà la vuole guardare e la vuole descrivere, ma ti scrivo dal posto
che non so davvero se esiste, e che pure sento mio.”
Cavolo, eccolo qua il conflitto che fa
forte una poesia, che le dà piena dignità.
Nell’ “Indistinto”
questo conflitto suscitatore di poesia c’è tutto, assecondato dall’altro
stupendo verso, “si è infranto il silenzio del passero che/dormiva
sul ramo e si sognava fiore”.
La tematica prevalente, ispirante e anche respirata come quotidiano, poi si esplica
ancora di più nella poesia “Il ciottolo” , con la sua premessa :
Vivo la mia periferia
nell’insana nostalgia del centro
-
dice il
Cuore
che voglio lasciare, in questo mio
commento, nella formulazione visiva originale così come poi si legge, perché
anche la prospettiva visiva della sfasatura e della sequenza dei versi ha un
senso ed esprime, volendola cogliere, una gerarchia inconscia, dove il Cuore è
centrale finale, ma la periferia, seppure con lettera minuscola, è
fondamentale, nella sua solo apparente complementarità; è il vivere quotidiano “che mi attraversa come una pena senza
nome” e nel percorso necessario per attraversarlo, “ pianto i miei passi nel buio.” Cioè, la forza che
si usa nello stare piantati con i piedi per terra sebbene non sia terra
l’elemento su cui si fa affidamento per trovare un appoggio di stabilità.
Cosa significa questo piantare passi nel
buio se non un’antinomia sottile tra ideale e reale in una risoluzione utopica,
folle quasi, come, per esempio, ancorare una barca nell’aria, o marciare sulle
nuvole.
E il Ciottolo comprende nel suo dire
(almeno, dire a me tanto) due altri spunti
efficaci a svelarmi l’indole poetica di Angela. Uno è il finale, un
tocco di quasi disillusione, come se la realtà vincesse, con arrogante e
deridente preponderanza,fino ad assetare il sogno- ciottolo, abituato, tra
l’altro, a sentirsi, in un moto ancestrale e
perpetuo, inondato e abbandonato dalle onde.
L’altro
spunto è quel verso
“lì si fanno mare i miei rivoli
il cielo è caldo di un silenzio
che zampilla in parole
forse poesia.”
Ecco, i rivoli sono il resto
della poesia di Angela, le altre tematiche, a volte intimiste, altre volte
nostalgiche, altre ancora sfioranti problematiche sociali. Per fortuna, però,
pure in una silloge che si dilata e diventa così vasta e poliedrica, Angela non
cade nell’errore molto comune del qualunquismo sentimentale o di quello
razionaleggiante. Pure piuttosto padrona della parola e capace di orchestrarla
nel modo giusto, non ne diventa schiava e, soprattutto, non si narsicizza per
questo suo saper poetare. Rimane “pulita” da banalità quando parla del suo
essere donna - figlia- madre-moglie-amante virtuale. Rimane ingenua- sagace
quando, nella ricerca delle sue radici,
incoccia nella nostalgia che confronta tempi andati col tempo attuale. Diventa
umile e affidata, ma non arruolata, pur nella coscienza della propria debolezza,
quando parla dell’Altro identificato in un dio o Dio, scritto una volta con la
minuscola e una volta con la maiuscola, giusto ad identificare una fede
sofferta ma mai prona ,piuttosto
interlocutente, per acquistare onesta saldezza.
E il tutto si compendia in
questi passaggi di “Due parole”
Padre nostro
e alla sera non so dirti altro…
E
non ti avrei padre
se non ti sapessi nostro
a
sporcarti le mani
per
guarire questa vita
Che dirti altro, Angela, se non che questi
versi, tanto li sento anche miei, che avrei voluto tanto averteli rubati. Cioè,
scusa, forse mi sono spiegato male... avrei voluto scriverli prima io.
Ma forse questa è solo la, ormai rara,
magia della poesia.
Costantino Simonelli
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