“C’era una volta le Monachelle…” così
l’incipit di un mio pensiero su questa chiesetta oggi restaurata. Nel
virgolettato tutta la doratura delle belle favole, incrostata sui muri
scalcinati.
Raccontava i rintocchi di una sola campana,
così animosa di domenica; i pavimenti, già da allora gibbosi, dove grandi e
piccoli si inciampava; la volta del tetto troppo alta a chi, come me,
raggiungeva poco più del metro di altezza; nicchie e statue soffuse di una luce
soffice, un raggio a volte s’infiltrava deciso e si faceva nuvola nella penombra;
un profumo di vecchio e di buono; all’ esterno i gradini erano consumati dai
più anziani, seduti ogni pomeriggio come in anfiteatro.
Dopo i cinquanta, l’infanzia comincia ad
avere l’atmosfera sbiadita della favola ed è bello sapere che le Monachelle
sono state lo sfondo comune di favole come la mia.
Mi fa male che quella chiesina non dica
nulla al giovane che le passa accanto. Lui certo non ne ha colpa, non ha
ricevuto in dono la mia stessa nostalgia.
È lei, la nostalgia, che continua a fecondare
la bellezza di un luogo. E se c’è lei, nessun tramonto riuscirà a trovarlo.
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