sabato 17 novembre 2012

Il solitario


Il tardo pomeriggio estivo ha un sapore inconfondibile: il tremolio di foglie sugli alberi; il mio gatto, di nome gatto, che si stravacca all’ombra del cespuglio di alloro; anche il silenzio ha altre sonorità, pare venga da lontano.

Sotto il gazebo, sul tavolino, un posacenere ricolmo di cicche, un mazzo di carte e, dai bicchieri vuoti, zaffate di  limoncello: tutti a raccontare una delle tante serate estive in attesa del refolo più fresco che convinca ad andare a letto.

È quasi un automatismo il mio: prendo le carte e inizio un solitario, un gioco tra i più misantropi - dicono. Mio padre, il mio gigante di pastafrolla, trascorreva ore con quel rompicapo, ma avevamo anche momenti nostri.   

Uno di questi era la passeggiata serale, anche d’inverno. Mingherlina, completamente immersa nella sua ombra, saltellavo di due passi per farne uno dei suoi. In un tratto i platani proiettavano sulla strada macchie strane enormi che risucchiavano quella già grande di mio padre. Facevano capolino i folletti  e allora la mia mano si incollava praticamente alla sua. Il pericolo era scampato quando giungevamo dinanzi l’icona della Madonna greca col Bambino.

L’oscurità la restituiva come un tutto dello stesso colore, per quanto malridotta, era sempre in compagnia di un lumino troppo minuscolo per tanta luce (… un giorno o l’altro mi apposterò e sgamerò l’angelo del lumino, pensavo bambina).
Mio padre rallentava il passo, si sradicava il cappello dalla testa calva e lanciava uno sguardo al quadro, la flessione del capo era quasi impercettibile. Mi piaceva il suo sguardo in quel momento: era morbido, bambino. Sono strani e inconsci i meccanismi che scattano e orientano a una fede, ma so per certo da dove ha origine la mia: da un cappello.

Gatto ha smesso di sonnecchiare, si strofina alle mie gambe, si sdraia per terra, è il suo rituale per chiedere carezze. Non lo curo, continuo il mio solitario che non ammette disattenzioni, tanto meno intrusioni. Quanto è fastidioso il vicino coi suoi suggerimenti!

Questo è un gioco a due, io e le carte, per la tombolata torna più tardi, ti verrebbe da dirgli, purtroppo abbozzi. Mio padre, in questi casi, raccoglieva senza scomporsi le carte e le riponeva nel fodero. Il messaggio era chiaro: o te ne vai o … te ne vai.

Sento dei passi nel portico, accantono le carte.
Un solitario ha una sua solitudine: una parte di te, quella indolente, segue il gioco, l’altra smette di sonnecchiare e si strofina al cuore che a volte si incammina lontano.




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