lunedì 15 dicembre 2025

1' Posto Edito - Città di Sarzana 13.12.2025


La lentezza dell’azzurro: viaggio nella poesia che custodisce le ferite

A cura di Giuseppe Di Liddo

Di lentissimo azzurro è un libro che chiede lentezza, quasi una forma di devozione. È una silloge che non si attraversa: si abita. Angela Caccia costruisce un territorio poetico in cui la parola non serve a spiegare, ma a custodire. Ciò che emerge fin dalle prime pagine è un movimento doppio: la poesia come luogo di chiaroscuro insieme rivelazione e riparo e la vita come materia che non smette di domandare senso.

L’Introduzione dell’autrice apre la raccolta con una dichiarazione di poetica profondamente matura: il testo poetico è un “livello di coscienza”, non un ornamento né una cronaca. In questo spazio di veglia, la parola diventa misura dell’autentico, ma anche riconoscimento dell’errore, dell’ambiguità, della fragilità che accompagna la condizione umana. È qui che Caccia colloca il proprio gesto poetico: in quell’interstizio dove il reale e l’invisibile si toccano senza coincidere.

Sono tre i poli tematici che strutturano la silloge:

Il mito

Omero, Borges, Giacobbe, Ulisse, Penelope, Laocoonte: queste non sono citazioni ornamentali, ma forze archetipiche che la poetessa ingloba nel proprio vissuto. L’epica entra nel quotidiano come un’eco che dà spessore alla ferita, un modo per ampliare il perimetro dell’esperienza personale sino alla densità universale. Il mito, qui, è una grammatica di risonanze interiori, mai semplice rimando colto.

Il corpo e la sua vulnerabilità

La silloge è una costellazione di gesti corporei: mani che cercano, sguardi che si sporgono oltre la soglia, notti che diventano carne. Il corpo è luogo di memoria, di riconoscimento e anche di perdita: “da me al foglio… vorrei parlarti di questa nostra vena aperta” dice una delle liriche più intense, trasformando la scrittura in ferita e cura insieme.

La memoria come casa e naufragio

Molti testi ruotano intorno alla presenza degli assenti. Le poesie dedicate ai morti – il padre, la madre, figure care e anime sfiorate dalla cronaca – sono tra le più alte della raccolta. Qui Caccia tocca un registro elegiaco modernissimo, dove il ricordo non ricompone ma mantiene vivo lo struggimento: “resti nel mio statuto dei viventi” è una delle frasi più luminose di tutto il volume.

L’autrice ha una padronanza di linguaggio rara: il verso non si adagia mai nella prevedibilità, ma si tende costantemente verso un punto di rottura, come una corda che vibra. Lo stile è riconoscibile per alcuni tratti distintivi: l’uso di immagini naturali (vento, mare, foglie, neve, leopardi, gabbiani), mai decorative, sempre metafisiche; l’alternanza fra densità concettuale e limpidezza colloquiale, quasi una modulazione del respiro; la struttura delle poesie come pagine di un diario cosmico, dove l’intimo e il mondo si confondono; la ricorrenza dell’azzurro, colore-casa, colore-confine, colore-di-luce e di ferita, che dà unità all’intero libro.

La parola poetica è spesso concava, come Caccia stessa afferma, e proprio in questa concavità trova la sua risonanza: tace e insieme interroga.

La silloge è attraversata dal dolore, ma mai da un dolore sterile. È un dolore che illumina, che trasforma, che scava. Le poesie dedicate alle tragedie contemporanee Cutro, la morte inattesa, la sofferenza ospedaliera trovano una forma misurata, mai patetica, fondata sul rispetto e sull’ascolto.

L’empatia dell’autrice non è un’adesione sentimentale, ma un atto etico: la poesia come testimonianza, come fratellanza nella fragilità umana.

Le poesie procedono come un viaggio: dall’origine all’ombra, dall’ombra al chiarore, dal chiarore a un punto di caduta che non è buio ma consapevolezza. Di lentissimo azzurro potrebbe leggersi come un percorso iniziatico, dove l’azzurro è la meta e insieme il modo: una lentezza luminosa che insegna a guardare meglio.

Ciò che più colpisce è la fedeltà della poetessa: alla propria memoria, al proprio sguardo, ai propri morti, alle parole che non tradiscono, alla bellezza che resta anche quando la vita si fa frattura.

La fedeltà come forma alta d’amore e di resistenza.

Di lentissimo azzurro è una silloge di rara maturità, in cui il verso nasce da un’urgenza interiore autentica e mai compiacente. Angela Caccia offre un libro che chiede partecipazione, una lettura non passiva ma consapevole, e ripaga con molta più luce di quanta si creda possibile raccogliere nella poesia contemporanea.

È un’opera che resterà: perché sa custodire le ferite senza cedere alla disperazione, e sa offrire al lettore non un rifugio, ma un luogo di verità. Una verità fatta di ombre, di pietà, di lentezza, e soprattutto di un azzurro che non scolora.