Angela Caccia
“Di lentissimo azzurro”
Chi pensava
di doverla scontare la gioventù?!
La vita si è fatta fuga in un attimo
nessun verso viene più in pace
nostalgia
è la lucina notturna che di giorno si dimentica accesa
e io lo so
succederà!...
Presto o tardi saremo tutti Lee Masters
parleremo anche noi con la voce dei morti
La gioventù una colpa?, una condizione che presto o tardi siamo chiamati a scontare? L'età avanza e con quella rimane la sola certezza, ineluttabile, che accompagna la nostra condizione mortale, certezza venata di nostalgia, di un tempo passato, e soprattutto certezza afflitta dal dubbio di essersi giocata proprio l'alternativa scartata.
Dubbi e angosce scandiscono l'eta che avanza.
“bisognerà morire per davvero?” si chiede Angela e lo sguardo si fa tenero verso se stessa, verso la propria immagine attuale riflessa nello specchio e verso i gesti più familiari, come lo stendere il rossetto ad occhi chiusi. Anche settembre è per la poetessa metafora di questa età della vita, di questo inizio d'autunno che porta con sé la nostalgia di altre età certamente più luminose e solari, nostalgia di primavera e d'estate. Ma settembre è anche però un'età di ancoraggio.
La vita scorre, il tempo si avvia a scadere: anche le relazioni più forti ne risentono, quel “noi” che una volta era sinonimo di vita, beh, anche quelle riflettono i guasti della vita, le sconfitte subite, e i dolori sofferti. Alla poeta non restano che la scrittura e i ricordi, ma fuggevoli, anche quelli accusano i vuoti, richiamano le assenze di un tempo lontano da cui non c'è scampo.
Angela Caccia si chiede: Come stare al mondo?
Quale orizzonte di senso ha il vivere se distacco, solitudine, attesa sono le dimensioni in cui si svolge il quotidiano? E soprattutto senza vessilli, ideali, senza il conforto della poesia?
La accompagna la lucida consapevolezza della condizione di scacco che è lo stare al mondo: Non ci sono illusioni che possano lenire la sofferenza.
E come tema ricorrente la morte, un'ipotesi imprescindibile, la morte un “dove” che non si conosce e che fa paura, un “dove” che non è una lapide, un dove che è silenzio. La morte dei propri cari, la morte e l'assenza della madre e di contro la muta presenza delle sue cose, dei suoi oggetti che restano, dei ferrettini sparsi nel cassetto, dei vestiti che non parlano più dell'assente.
Il vuoto è muto, non parla, non manda segni, per questo il cuore è come spalancato e gli occhi affamati di presenza.
La poesia di Angela Caccia a tratti mesta e malinconica si fa invece vibrante invettiva quando diventa denuncia dell'ipocrisia del mondo. Per la mattanza del 26 febbraio a Steccato di Cutro non c'è parola vera, perché anzi la parola vera si rifiuta di raccontare: la realtà è racchiusa nei cerchi d'acqua cristallina dove risuona ancora il grido annegato.
Tanti i temi che la poesia affronta e tutti caratterizzati da una evidente ricercatezza linguistica: prevalentemente è poesia esistenziale che si interroga, che pone domande sulle scelte, sul dolore, sull'utilità del sapere, che si chiede addirittura se cultura e sapere servano mai a qualcosa. Anche gioiose esperienze come l'innamorarsi e il condividere con l'altro, cosa mai concedono al vivente se non l'accettazione del dubbio? Agli enigmi dell'esistenza non c'è risposta se non quel continuo lottare come fece Giacobbe con l'Angelo per trovare se stessi, per trovare Dio, per trovare Poesia.
Per la poeta alla complessità del mondo non è possibile trovare una risposta ragionevole, il mondo è con Borges un labirinto e dunque non è intellegibile. La condizione umana è proprio questa assurdità per la ragione. Non resta allora che la scrittura, la scrittura che è come il sole, come la luce a cui poche ombre riescono a sottrarsi. Scrivere è sì un bisogno ma scrivere è anche una risorsa che aiuta a non affondare, che fa intravedere al dilà della nebbia la bellezza intatta che esiste.
Nella quarta di copertina troviamo la visione della poesia per Angela:
Non ti servono tutte le vocali
che poesia è pane leggero
-rosa
sosta in due sillabe di bellezza,
nella resa indiscussa di primavere
ad estati
e a settembre
è nostalgia in entrambe – poterne
prendere i lembi
ripiegarla come pregiata seta...
Restiamo comunque grati
all'abitudine del vento che sposta
al sole il canto degli uccelli”
Anche se lo cito a conclusione di questa presentazione, il manifesto di Angela Caccia poeta lo troviamo nell'introduzione dell'elegante volune “Di lentissimo azzurro”: Chi ama la poesia, sia lettore che scrittore, compie una scelta su “come stare al mondo” accettando di essere mantenuto anche dalla dimensione poetica. Chi ama la poesia è con questo sguardo che si rivolge al reale, con questo stato d'animo compie gesti, affronta battaglie, subisce sconfitte. In sintesi, la condizione del poeta è quella dell'esilio, del distacco, della solitudine.
E allora se ci chiediamo: cosa resta della Poesia nel sentire del Poeta ? Angela afferma: Una presenza sacra nel petto, un'ombra che accompagna il cammino, una vena aperta tra il poeta e il foglio; dopo solo il silenzio.
La poesia, l'ineffabile.
