sabato 22 novembre 2025

Memorie del quotidiano e coscienza civile: la poesia come atto di cura - recensione di Mario Saccomanno

Mario Saccomanno. Gli sono grata e non solo per la sottigliezza di questa lettura.

Dicono si arrivi alla coscienza di quel “Sé dinamico” attraverso l’ "io di ritorno”: il riflesso di noi che ci viene restituito dagli specchi/sguardi altrui.

 Il processo richiede la perfetta convergenza di tre elementi: una profonda capacità di decifrazione (nostra e dell'osservatore), la nitidezza del riflesso e l'onestà dello specchio stesso. 

Questo scritto – così lo intuisco – è uno dei pochi in cui quei parametri collimano in modo mirabile. Ed è un autentico conforto scoprire che la lettura che riserviamo a noi stessi, per quanto implacabile, trovi corrispondenza nell’acume dello sguardo altrui.

Dal Sito ACULEI EDIZIONI

Ci sono libri che si impongono per la precisione del dettato e per la qualità che ne contraddistingue lo sguardo. Di lentissimo azzurro (Campanotto Editore, 2024, pp. 80, € 13,00) di Angela Caccia è una silloge che fa i conti col quotidiano attraverso un rigore riguardoso e tramite una piena consapevolezza del proprio compito etico. Già nell’introduzione dell’autrice viene chiarito lo sguardo che connatura le pagine che conformano la raccolta: la poesia non è da intendere come mero ornamento, ma come luogo che, calpestato, risulta essere in grado di affinare lucidità, stupore e di rendere più marcato il proprio grado di responsabilità.

Le varie composizioni non offrono una visione pacificata del mondo, ma un attraversamento. A scandire i versi sono le ferite, le assenze, i lutti e le memorie che, nel complesso, formano un mosaico che rispecchia la complessità del vivere, dove nulla viene espunto o addolcito. I luoghi domestici (la casa, il balcone, la finestra, il giardino, la stanza) si fanno spazi di meditazione, laboratori di senso dove il gesto minimo diventa atto poetico. Nelle varie pagine si respira una lentezza consapevole, che non è stasi, ma ascolto.

Intimità e mondo: le due vele della silloge

Il testo si compone di scene intime accanto alle quali emergono con forza immagini di impegno civile, che attraversano il libro come lampi di realtà. La poesia sul naufragio di Steccato di Cutro, cuore civile della silloge, è un esempio emblematico. In merito, risulta proficuo rilevare che si tratta di un dolore che non si esibisce, ma che si custodisce: «Ma solo al largo / nei cerchi d’acqua più cristallina / risuona ancora il grido annegato». Questi versi non mirano ad amplificare la tragicità dell’evento, ma ne ricompongono il silenzio, restituendogli sia dignità, sia ascolto.

Caccia non teme di nominare il dolore collettivo: il ritrovamento del corpo del 17 giugno 2024 o l’incidente del 19 settembre dello stesso anno (giusto per utilizzare come spunto altre due composizioni presenti nella raccolta) diventano elementi di frizione etica, lembi di mondo che irrompono nella dimensione privata.

Sono episodi veri, legati intimamente al quotidiano, ma nella raccolta, tramite la forza dell’alfabeto poetico, diventano, anche e soprattutto, simboli: figure attraverso cui la voce non giudica, non denuncia, ma accompagna. La riproposizione poetica di questi accadimenti non intende riportare la cronaca, ma misurarne l’eco interiore. È un agire che li trasforma in luoghi di meditazione sulla responsabilità e sull’attenzione all’Altro da sé in cui potersi riconoscere.

Il titolo stesso, Di lentissimo azzurro, suggerisce una tonalità precisa. L’azzurro è colore della distanza e della quiete, ma anche della malinconia: una luce che non ferisce, ma accompagna. La lentezza, invece, può richiamare anche la misura morale che pervade la raccolta: un tempo lungo che permette di non accantonare nessuno e che trasforma la poesia in pratica di attenzione.

Va da sé che questo binomio – lentezza e azzurro – guida l’intera architettura del libro, rendendola coerente e riconoscibile pur nella varietà dei toni, di volta in volta, utilizzati.

Una tecnica di sobrietà

Alla fine della lettura della raccolta resta una sensazione di pienezza quieta, come dopo un dialogo lungo e necessario. La poesia di Caccia non urla, ma custodisce; non pretende, ma accompagna; non semplifica, ma ha la capacità di aprire a nuovi discorsi, a nuovi orizzonti. Sono versi che nascono da una forma d’attenzione capace di farsi ascolto, ben prima che parola.

Un altro elemento da considerare è che la disposizione etica a cui si è fatto cenno non coincide con un atteggiamento moraleggiante, ma corrisponde a uno stare al mondo che accantona l’immediatezza (spesso sinonimo di superficialità) a vantaggio di una cura meditata, che agisce volutamente controcorrente.

È in questa postura che la raccolta trova la sua forza più riconoscibile: l’energia di sostenere un dolore evitando spettacolarizzazioni. Anche la memoria viene attraversata senza essere incanalata in un gesto nostalgico. La voce poetica non cerca mai un punto di superiorità, non vuole in alcun modo imporre interpretazioni: si concentra – meglio: si impegna – a restare fedele alle cose, ai margini, ai dettagli. Il tutto, affidando alla precisione del gesto linguistico la possibilità di cogliere una verità che possa essere condivisa.

In questo modo Di lentissimo azzurro mostra come la poesia possa ancora essere uno spazio indispensabile di rilettura del reale: un terreno in cui ciò che accade non viene ridotto a fatti, ma accolto nella sua complessità, nel suo spessore umano. Caccia ci ricorda che la poesia può essere una presenza reale accanto alle vite degli altri; non un esercizio isolato, ma una pratica di relazione.

In tempi accelerati, in cui la parola si discosta spesso dalla profondità, la sua scelta di lentezza è un gesto etico-politico oltre che estetico-compositivo: è l’affermazione della necessità di uno sguardo che non consuma, ma che permette alla realtà di depositarsi. È un invito a tornare a gesti elementari (guardare, ascoltare, chiamare le cose col loro nome) per restituire dignità a ciò che spesso scivola via nell’indifferenza.

Dunque, in conclusione, la silloge invita a ripensare il ritmo dell’attenzione come forma di resistenza quotidiana. Di lentissimo azzurro è un’opera che congiunge sguardo intimo e responsabilità, che restituisce valore alla lentezza e alla memoria, che invita a non distrarsi. In tempi di parole urlate, la poesia di Caccia sceglie di sussurrare e, proprio per questo, risulta essere capace di arrivare più lontano.

Mario Saccomanno

12

(26.2.2023 naufragio a Steccato di Cutro)

La parola
quella vera
si rifiutò di raccontare la mattanza

finanche il mare che divorò incubi
sogni
e la barchetta di carta
preferì dipingerla la morte
di turchese
e chiese ai cormorani
di costruire una cattedrale fluida
maestosa
sul tortuoso labirinto marino.

Ditelo domani alla gente comune
che dai resti di un naufragio
e cento morti
il mondo eresse monumenti all’accoglienza
flagrò in commosse celebrazioni
          
ma solo al largo
          
nei cerchi d’acqua più cristallina
          
risuona ancora il grido annegato

***

43

(19 settembre 2024 – incidente mortale sulla strada per Crotone)

Ipotesi imprescindibile
la morte
che
quando non precipita
scende in molecole
di rugiada su ogni giorno. Resta
un dilatarsi statico
disperato
questo mettersi sulle tracce
dell’assenza e Tu
che oggi hai conosciuto
il senso
di un cielo taciuto
sei l’abbraccio che manca

***

45

La polvere torna negli spazi a cui s’affeziona
colma i laghetti di impronte -quasi a correggere
un errore – s’accumula agli angoli
nuances di grigio
come il pensiero di certi giorni che bandirebbe
volentieri bianco e nero dal colore. Meglio
allora
godere del cielo che scorre addosso o del verde
a sprazzi seppure nel mantra che ritorna: la vita
si perde tra lancette in corsa!
          
E in questo tutto svanisce
          
ogni cosa è in rivolta
          
la felicita è l’offerta limitata -fin qui
          
e non oltre – ha perso
          
l’eccesso a cui è connaturata. E anch’io
          
torno ai miei spazi: azzardo parole lì
          
dove credo manchino
          
ospito la vecchia tigre nella neve che*
          
non disdegna l’ignoto e testa confini
          
il resto
          
è ombra agli angoli degli occhi

La vecchia tigre nella neve, quadro dipinto nel 1849 dal pittore e incisore giapponese Katsushika Hokusai tre mesi prima della morte, è una sorta di autoritratto ironico che pare essere il manifesto della curiosità e dell’entusiasmo del grande artista.