Mario Saccomanno. Gli sono grata e non solo per la sottigliezza di questa lettura.
Dicono si arrivi alla coscienza di quel “Sé dinamico”
attraverso l’ "io di ritorno”: il riflesso di noi che ci viene restituito dagli
specchi/sguardi altrui.
Il processo richiede la perfetta convergenza di tre elementi: una profonda capacità di decifrazione (nostra e dell'osservatore), la nitidezza del riflesso e l'onestà dello specchio stesso.
Questo scritto – così lo intuisco – è uno dei pochi in cui
quei parametri collimano in modo mirabile. Ed è un autentico conforto scoprire
che la lettura che riserviamo a noi stessi, per quanto implacabile, trovi
corrispondenza nell’acume dello sguardo altrui.
Ci sono libri che si impongono per la precisione del
dettato e per la qualità che ne contraddistingue lo sguardo. Di lentissimo
azzurro (Campanotto Editore, 2024, pp. 80, € 13,00) di Angela Caccia è una
silloge che fa i conti col quotidiano attraverso un rigore riguardoso e tramite
una piena consapevolezza del proprio compito etico. Già nell’introduzione
dell’autrice viene chiarito lo sguardo che connatura le pagine che conformano
la raccolta: la poesia non è da intendere come mero ornamento, ma come luogo che,
calpestato, risulta essere in grado di affinare lucidità, stupore e di rendere
più marcato il proprio grado di responsabilità.
Le varie composizioni non offrono una visione pacificata
del mondo, ma un attraversamento. A scandire i versi sono le ferite, le
assenze, i lutti e le memorie che, nel complesso, formano un mosaico che
rispecchia la complessità del vivere, dove nulla viene espunto o addolcito. I
luoghi domestici (la casa, il balcone, la finestra, il giardino, la stanza) si
fanno spazi di meditazione, laboratori di senso dove il gesto minimo
diventa atto poetico. Nelle varie pagine si respira una lentezza consapevole,
che non è stasi, ma ascolto.
Intimità e mondo: le due vele della silloge
Il testo si compone di scene intime accanto alle quali
emergono con forza immagini di impegno civile, che attraversano il libro come
lampi di realtà. La poesia sul naufragio di Steccato di Cutro, cuore civile
della silloge, è un esempio emblematico. In merito, risulta proficuo rilevare
che si tratta di un dolore che non si esibisce, ma che si custodisce: «Ma solo
al largo / nei cerchi d’acqua più cristallina / risuona ancora il grido
annegato». Questi versi non mirano ad amplificare la tragicità dell’evento, ma
ne ricompongono il silenzio, restituendogli sia dignità, sia ascolto.
Caccia non teme di nominare il dolore collettivo: il
ritrovamento del corpo del 17 giugno 2024 o l’incidente del 19 settembre dello
stesso anno (giusto per utilizzare come spunto altre due composizioni presenti
nella raccolta) diventano elementi di frizione etica, lembi di mondo che
irrompono nella dimensione privata.
Sono episodi veri, legati intimamente al quotidiano,
ma nella raccolta, tramite la forza dell’alfabeto poetico, diventano, anche e
soprattutto, simboli: figure attraverso cui la voce non giudica, non
denuncia, ma accompagna. La riproposizione poetica di questi accadimenti
non intende riportare la cronaca, ma misurarne l’eco interiore. È un agire che
li trasforma in luoghi di meditazione sulla responsabilità e
sull’attenzione all’Altro da sé in cui potersi riconoscere.
Il titolo stesso, Di lentissimo azzurro, suggerisce
una tonalità precisa. L’azzurro è colore della distanza e della quiete, ma
anche della malinconia: una luce che non ferisce, ma accompagna. La lentezza,
invece, può richiamare anche la misura morale che pervade la raccolta: un
tempo lungo che permette di non accantonare nessuno e che trasforma
la poesia in pratica di attenzione.
Va da sé che questo binomio – lentezza e azzurro – guida
l’intera architettura del libro, rendendola coerente e riconoscibile pur nella
varietà dei toni, di volta in volta, utilizzati.
Una tecnica di sobrietà
Alla fine della lettura della raccolta resta una
sensazione di pienezza quieta, come dopo un dialogo lungo e necessario. La
poesia di Caccia non urla, ma custodisce; non pretende, ma accompagna; non
semplifica, ma ha la capacità di aprire a nuovi discorsi, a nuovi orizzonti.
Sono versi che nascono da una forma d’attenzione capace di farsi ascolto, ben
prima che parola.
Un altro elemento da considerare è che la disposizione
etica a cui si è fatto cenno non coincide con un atteggiamento moraleggiante,
ma corrisponde a uno stare al mondo che accantona l’immediatezza (spesso
sinonimo di superficialità) a vantaggio di una cura meditata, che agisce
volutamente controcorrente.
È in questa postura che la raccolta trova la sua forza
più riconoscibile: l’energia di sostenere un dolore evitando
spettacolarizzazioni. Anche la memoria viene attraversata senza
essere incanalata in un gesto nostalgico. La voce poetica non cerca mai un
punto di superiorità, non vuole in alcun modo imporre interpretazioni: si
concentra – meglio: si impegna – a restare fedele alle cose, ai margini, ai
dettagli. Il tutto, affidando alla precisione del gesto linguistico la
possibilità di cogliere una verità che possa essere condivisa.
In questo modo Di lentissimo azzurro mostra
come la poesia possa ancora essere uno spazio indispensabile di rilettura del
reale: un terreno in cui ciò che accade non viene ridotto a fatti, ma accolto
nella sua complessità, nel suo spessore umano. Caccia ci ricorda che la poesia
può essere una presenza reale accanto alle vite degli altri; non un esercizio
isolato, ma una pratica di relazione.
In tempi accelerati, in cui la parola si discosta spesso
dalla profondità, la sua scelta di lentezza è un gesto etico-politico
oltre che estetico-compositivo: è l’affermazione della necessità di uno sguardo
che non consuma, ma che permette alla realtà di depositarsi. È un invito a
tornare a gesti elementari (guardare, ascoltare, chiamare le cose col loro
nome) per restituire dignità a ciò che spesso scivola via nell’indifferenza.
Dunque, in conclusione, la silloge invita a ripensare il
ritmo dell’attenzione come forma di resistenza quotidiana. Di lentissimo
azzurro è un’opera che congiunge sguardo intimo e responsabilità, che
restituisce valore alla lentezza e alla memoria, che invita a non distrarsi. In
tempi di parole urlate, la poesia di Caccia sceglie di sussurrare e, proprio
per questo, risulta essere capace di arrivare più lontano.
Mario Saccomanno
12
(26.2.2023 naufragio a Steccato di Cutro)
La parola
quella vera
si rifiutò di raccontare la mattanza
finanche il mare che divorò incubi
sogni
e la barchetta di carta
preferì dipingerla la morte
di turchese
e chiese ai cormorani
di costruire una cattedrale fluida
maestosa
sul tortuoso labirinto marino.
Ditelo domani alla gente comune
che dai resti di un naufragio
e cento morti
il mondo eresse monumenti all’accoglienza
flagrò in commosse celebrazioni
ma solo al
largo
nei cerchi
d’acqua più cristallina
risuona ancora
il grido annegato
***
43
(19 settembre 2024 – incidente mortale sulla strada per
Crotone)
Ipotesi imprescindibile
la morte
che
quando non precipita
scende in molecole
di rugiada su ogni giorno. Resta
un dilatarsi statico
disperato
questo mettersi sulle tracce
dell’assenza e Tu
che oggi hai conosciuto
il senso
di un cielo taciuto
sei l’abbraccio che manca
***
45
La polvere torna negli spazi a cui s’affeziona
colma i laghetti di impronte -quasi a correggere
un errore – s’accumula agli angoli
nuances di grigio
come il pensiero di certi giorni che bandirebbe
volentieri bianco e nero dal colore. Meglio
allora
godere del cielo che scorre addosso o del verde
a sprazzi seppure nel mantra che ritorna: la vita
si perde tra lancette in corsa!
E in questo
tutto svanisce
ogni cosa è in
rivolta
la felicita è
l’offerta limitata -fin qui
e non oltre –
ha perso
l’eccesso a cui
è connaturata. E anch’io
torno ai miei
spazi: azzardo parole lì
dove credo
manchino
ospito la
vecchia tigre nella neve che*
non disdegna
l’ignoto e testa confini
il resto
è ombra agli
angoli degli occhi
* La vecchia tigre nella neve, quadro
dipinto nel 1849 dal pittore e incisore giapponese Katsushika Hokusai tre mesi
prima della morte, è una sorta di autoritratto ironico che pare essere il
manifesto della curiosità e dell’entusiasmo del grande artista.
