La silloge "Di lentissimo azzurro"
di Angela Caccia ci introduce a una poesia intima e riflessiva,
che indaga con delicatezza e profondità i territori dell'animo umano.
Sin dall'introduzione, l'autrice sottolinea come la vera comprensione di un
testo poetico dipenda dalla coscienza e dallo stupore del lettore. Questo
approccio invita a un'esperienza di lettura attiva e partecipativa, dove il
lettore è chiamato a confrontarsi con le proprie emozioni e interpretazioni. L'autrice,
attraverso immagini evocative e un linguaggio sapientemente cesellato, ci guida
in un percorso introspettivo scandito da temi universali come l'amore, la
perdita, il trascorrere del tempo, la memoria e il rapporto con la natura.
"Di
lentissimo azzurro" di Angela Caccia si presenta come un vero e proprio viaggio
introspettivo e profondo nei meandri dell'animo umano.
L'autrice si
confronta con le proprie fragilità, con il dolore del distacco e con la
nostalgia di ciò che è stato, ma allo stesso tempo celebra la bellezza della
vita in ogni sua sfaccettatura. La
scrittura è ricca di dettagli sottili, capace di catturare momenti fugaci e di
trasformarli in riflessioni poetiche. L'uso di simboli naturali, come il mare,
il cielo, e i fiori, trasmette una sensazione di eternità e di connessione con
l'universo, mentre l'attenzione ai piccoli gesti e alle parole non dette crea un'atmosfera
di introspezione e di dialogo silenzioso con il lettore. D’altra parte la
poesia d’apertura mette subito in chiaro la dimensione esistenziale del testo,
con domande che scuotono “Sarà servito a qualcosa / leggere Omero farsi
disturbare / il sonno da una mail/ vivere fino la ferita / e al grido
sotterraneo uscire fuori dal calcolo?” un invito a riflettere sul
significato del vivere, ad immergersi in un’indagine sul senso delle esperienze
quotidiane. La poesia stessa viene presentata
come un faro nella nebbia dell'incertezza, un mezzo per dare forma
all'indicibile e per trovare un senso nel caos del mondo: "Scrivere
resta il sole frontale da cui / poche ombre si sottraggono".
La raccolta è ricca di riferimenti letterari e artistici, da Omero a Borges, da Pitagora a Caravaggio, a Saramago e Virgilio, Katsushika Hokusai e Pedro Salinas, testimonianza di una profonda cultura e di una sensibilità raffinata.
I versi di Angela Caccia invitano a soffermarsi sulla
bellezza dell'imperfetto, sulla complessità delle relazioni e sulla necessità
di accettare il cambiamento e l'incertezza della vita. Un elemento distintivo
della raccolta è la costante presenza del dialogo, sia con se stessi che con
l'altro. La figura dell'altro diventa uno specchio in cui il poeta cerca la
propria identità e la propria verità. Questa ricerca di connessione si esprime
attraverso immagini di intimità: "S'attendevano l'uno l'altro e non lo
sapevano / l'incontro fu lo spazio di un valzer". L'amore e le
relazioni diventano un terreno fertile per la scoperta, un percorso condiviso
di crescita e comprensione.
Particolarmente significative sono le liriche che
trattano il tema della morte affrontato con un tono pacato e meditativo, mai
disperato. In "Da un nucleo appartato di parole", la poetessa
dialoga con la voce del padre scomparso, cercando di ricomporre i frammenti di
un'assenza che si insinua "nella goccia/ sul vetro che scivola e si
gonfia". In "Malinconico felice del tramonto", la
sera, con le sue "stanze vuote", diventa metafora della
caducità della vita e invito alla riflessione sulla propria finitezza.
Le
poesie sono ricche di immagini che evocano una realtà sfuggente e mutevole “Siamo
labirinti – lo sapeva Borges – / ospiti di pensieri inospitali”, dove la
condizione umana appare come un circolo vizioso di smarrimenti e ritrovamenti,
legato alla scrittura come atto di resistenza e bellezza.
La raccolta
esplora il tema della memoria, non solo come ricordo del passato, ma anche come
strumento per comprendere il presente. La memoria diventa un territorio da
esplorare, un luogo dove si intrecciano passato e presente, dolore e gioia. Il
tempo è percepito come una forza inarrestabile, che trasforma e consuma ogni
cosa, ma che allo stesso tempo permette la crescita e l'evoluzione "Il
tempo passa / e s’impara quel che si può". Il passato e il presente si
intrecciano in un dialogo continuo, creando una trama complessa di emozioni e
significati.
La natura è onnipresente, con i
suoi cicli, i suoi colori, le sue creature. Fiori che "invecchiano in
un giorno", voli di rondini, vecchi gabbiani, animali osservati con
sguardo partecipe, come il gatto che "espia la libertà a cui è tarato".
La natura diviene specchio dell'animo umano, con le sue fragilità, la sua forza
vitale, la sua tensione verso la luce.
Anche il mare è sempre presente nella raccolta, simbolo di mistero, di profondità e di forza inarrestabile. In "Su diamoci questo scontento" il mare viene paragonato alla metrica poetica, capace di sovrastare e di scintillare di caos e di franchezza. Ancora, il mare è protagonista della poesia "26.2.2023 naufragio a Steccato di Cutro" dove l'autrice condanna l'indifferenza del mondo di fronte alla tragedia dei migranti, allargando il suo sguardo verso una dimensione più collettiva e sociale “La parola / quella vera / si rifiutò di raccontare la mattanza”. Qui, il potere della poesia diventa uno strumento di denuncia, capace di toccare con sobrietà eventi tragici e dolorosi.
Il ritmo lento e misurato riflette il titolo stesso della raccolta, il "lentissimo azzurro" diventa un simbolo del tempo che scorre, delle emozioni che maturano e dei pensieri che si sedimentano. È un invito a fermarsi, a osservare con attenzione, e a lasciarsi trasportare dalla bellezza nascosta nelle piccole cose. La cifra stilistica di Caccia è una raffinata malinconia, che permea l'intera opera e conferisce ai versi un'aura di struggente bellezza. I versi di questa raccolta, come "piccole vertigini di un lontano da cui non si guarisce", riecheggiano a lungo nella mente, offrendo una poesia densa “Scritta a mano / di lentissimo azzurro / coi tratti della cura e della calma”, stratificata e intima, che non ha paura di confrontarsi con le grandi questioni dell'esistenza umana e dove la parola si fa non solo mezzo di comunicazione, ma anche atto d’amore e cura verso l’altro.
Maria Concetta Ammirati
Docente di ruolo di Greco, Lettere e Lingua Latina presso il
Liceo Classico Diodato Borrelli - Santa Severina, è tra gli insegnanti più
stimati da studenti e colleghi. Instancabile promotrice di iniziative culturali
sia all'interno che all'esterno dell'istituto, rappresenta uno dei punti di
orgoglio per la comunità di Santa Severina. Grazie al costante impegno dell'Associazione
dei Borrelliani, del Caffè Letterario, della Pro Loco Siberene e della
Cooperativa Aristippo, sotto la guida dell’Amministrazione del Sindaco Lucio Giordano,
la comunità continua a essere un'eccellenza nella regione.