Torno a casa col bottino grosso.
Ad esporlo basterebbe la figura del Sindaco del paese che mi ha ospitata:
persona colta saggia intelligente. Un tris di qualità per nulla scontato e, in
una mirabile comunione di intenti, riscontrato in altri suoi collaboratori, conosciuti
all’arrivo a Canna – piccolo paese del Pollino di un nitore unico –, e nell’associazione
di giovani Arci Libera-Mente: insieme hanno
curato l’evento di poesia svoltosi il 3 agosto nel palazzo Ielpo. La serata
rientra nel Festival del Pollino che la casa editrice Macabor, il suo
attivissimo editore Bonifacio Vincenzi e una collaboratrice e poeta di tutto
rispetto, Griselda Doka, stanno promuovendo seguendo un preciso calendario. Il
format di ogni serata è imprescindibile: il nostro intervistatore, Domenico
Donaddio, dopo un attento studio, ha mirabilmente “torchiato” me, la poeta
Griselda Doka e il novello poeta Giovanni Mazzei, sviscerando poetiche e acuti
raccordi, poi è seguita la declamazione di versi.
Un tris di qualità, dicevo, per nulla intercambiabili.
La cultura, quella vera, è anche desiderio di parteciparla in quanto consapevole radice di crescita. Di suo, umile, perché, qualunque sia la dose che si possiede e si partecipa, ciò che manca alla pienezza è ahimè insondabile. Se a quei buoni propositi si aggiungono intelligenza e saggezza che danno misura, il gioco è fatto. Perché proprio la misura? Come ogni estate, anche nel crotonese, s’apre la competizione tra paesi e città a chi ha il manifesto eventi più ricco: ecco allora che si assommano in uno stesso giorno presentazioni di libri, caciara nelle piazze col cantante di turno, degustazioni, corse più o meno campestri, sfilate di moda, giochi acrobatici, karaoke e chi più ne ha più ne metta. Ecco allora che, se in programma qualcosa di veramente valido c’è, è svilito e annebbiato da un troppo. Come se l’estate, per essere veramente tale, debba essere all’insegna del rincitrullire e sfogare, così, una sorta di sangue animale accumulato nel corso di un intero inverno. Come se i problemi non tornassero puntuali a fine estate e, a tratti, non subentrasse il dubbio di essere stati nutriti con solo foraggio. Come se un tramonto sul mare o l’equivalente verso che lo evoca, insieme ad altre kermesse di madre natura, non rimanesse lo spettacolo per eccellenza.
Torno a casa col bottino grosso
perché le parole per descrivere quella realtà – colta e misurata di Canna- non
le devo andare a cercare, ma si presentano da sole e in logica successione come
testimoni di un bello luminoso, di un accaduto il cui ricordo non finirà, insieme
alla locandina stagionale, nella carta straccia dell’inefficace.