La vita è tutto ciò che ci
portiamo dentro in modo più o meno e non sempre cosciente, attraverso un gioco
continuo di ricordi e di rimozioni: l'amore, il piacere, i valori che danno
senso, la condizione dell'uomo con le sue visioni pessimistiche e contrarie, le
emozioni e le riflessioni del viaggiatore pellegrino su questa Terra, il
mistero della morte e il confine fra due mondi che solo la pietà può
congiungere, il ruolo degli oggetti "che spesso ridono dei comportamenti
umani", il sogno, la realtà, la forza dei ricordi, la ripetitività, le
abitudini, la coscienza del tempo e il suo incedere incessante, i pensieri in
libertà e quelli trasformati in progetti...
Ebbene, è con questo mondo
che la poesia s'incontra e si scontra..., traducendola in emozioni. Ogni volta
che dallo scrigno della memoria o dal serbatoio della vita in diretta
riaffiorano pezzi e brandelli della nostra esperienza, in atto o già
archiviata, è come assistere ad una seduta di analisi e di introspezione..., è
come liberarsi dei vestiti per tuffarsi nell'acqua del mare estivo.
Nei sublimi versi di Angela
Caccia incontriamo tutto questo... un filo conduttore: la vita, vissuta in ogni
sequenza, a volte subita, ma sempre unica e irripetibile.
Ma andiamo per ordine,
cominciando dal titolo.
"Accecate i
cantori" è un titolo forte, criptico, enigmatico, quasi un grido di
dolore, ma anche di liberazione dai condizionamenti e di superamento delle
categorie spazio-temporali... Non mi piace pensare ad un invito, piuttosto ad
una sottolineatura certa e convinta: la società tecnologica e materialistica
dominante vuole "accecare i cantori" e distruggere la poesia, ma
loro, seppur ciechi e menomati, hanno la forza e il coraggio di continuare a
cantare e a poetare con maggiore lena e voce squillante...
Una silloge ben costruita,
equilibrata, armonicamente strutturata. Priva dei canonici titoli e con
punteggiatura ridotta all'essenziale (solo all'Indice, per comodità
consultiva e organizzativa del libro, è riportato il primo verso delle singole
poesie; e, l'unico stacco tra una poesia e l'altra è determinato dalla lettera
maiuscola iniziale), la raccolta evidenzia un'unica e identica tensione emotiva,
un percorso ad incastro fatto di vecchie e nuove orme: "A chi
conferma rotte / calando il piede / nella traccia buona / già calcata // a chi ne imprime di nuove / col coraggio e
la solitudine / della prima orma".
Un intreccio formale, quasi
un ordito e una trama da tessere, che si cala nella realtà composita, tra
problemi e domande. Non un solo tema, ma diversi e numerosi gli spunti che si
presentano qua là, spesso in modo prepotente e improvviso, immersi e intinti
nei piccoli e grandi gesti quotidiani:
- il male, dal quale
difendersi con appropriati anticorpi, che la vita e l'esperienza somministra:
"non ci si addestra mai al dolore/ al male si / per fronteggiarlo / in
qualche modo";
- la solitudine dell'uomo,
in compagnia spesso solo di se stesso, con la convinzione che "crescere /
è l'avventura di solitudini n mare aperto / a reggere il vento contro / a
scandagliare la folata che avvantaggia"; e il conforto che "tra due
solitudini / resta solo un verso / la chiacchiera migliore";
- "i grandi silenzi acquattati
tra le sillabe", che sanno ascoltare, che parlano al cuore e alla ragione,
che sanno ascoltare, che parlano al cuore e alla ragione, che riempiono ogni
vuoto, che rimbombano nelle coscienze, che stimolano il dubbio la ricerca la
conoscenza il senso della vita, quasi impercettibili segni di immortalità, da
curare come preziose reliquie in teche adeguate;
- la poesia, che
sospende e dilata il tempo, in un continuo contrasto tra l'assoluto e il
niente, tra la vita e la morte, uno stato di grazia, "un punto vuoto /
sacro che / nessuno profana / in quel misterioso / acquietarsi degli
estremi"; la poesia come tentazione; la poesia che si cala
nel rapporto madre-figli: "se c'è una madre c'è un figlio / e il respiro
resta circolare..."; la poesia come catarsi, come nostalgia, come
scuotimento sentimentale, nell'eterno contrasto morte-vita, nel continuo
calarsi agli Inferi e salire in Paradiso, nel lavoro continuo di distruzione e
ricostruzione della nostra esistenza...;
- il vivere quotidiano,
con continui riferimenti ad oggetti, cose, comportamenti familiari alla
poetessa (chicco, germoglio, seme, seminare, mietere, pane, sazietà...), in
termini sacrali, mai banali e riduttivi, quasi un richiamo inconscio,
istintivo, ancestrale del paese natio, patria eccellente del pane buono e
di prodotti alimentari eccellenti, quasi un ritorno ai gesti e ai riti, che si
svolgono ogni giorno nelle nostre case e nelle nostre famiglie;
- la sofferta condizione
filiale, per la difficoltà e l'impotenza a gestire le patologie e le
sofferenze della madre;
- le diverse sfaccettature
dell'emigrazione, eterna piaga delle nostre contrade, con il carico di
sofferenze esistenziali "...un vecchio emigrante / partì straniero in
Germania / tornò straniero a casa sua..."
- l'amore, non
"più sostantivo generico / ma il nome tuo il mio... / un paio di braccia
in cui perdermi / una spalla per poggiare i pensieri più faticosi".
I versi di Angela Caccia
sono ricchi di musicalità e di ritmo, vanno gustati, introitati, trasformati in
carne e sangue, alimento primario per lo spirito.
Versi profondi, che
riflettono un travaglio interiore, testimonianza di un'anima sensibile, quasi
fuori dal suo tempo, ma solo di quel tempo fatto di fretta, di smanettamenti
telefonici, di calcolo, di opportunismo... che ci indica la via della
riflessione, della interiorità, della ribellione contro la staticità e
l'inerzia, del dolore in tutte le sue forme, della nostalgia come constatazione
dolorosa del tempo che passa...
Versi caratterizzati da puntigliosa
ricercatezza formale e stilistica: "noi che curavamo le parole / come le
stanze dell'umano / come i nostri balconi / dalle sempre primavere..." Non
improvvisati, incisivi, studiati, significativi, evocatori di atmosfere, a
volte simbolici e/o criptici, sempre profondi e sofferti, qualche volta
imperfetti "poesia è spesso un verso storto / buono solo a
convincere / sulle oneste intenzioni di chi l'ha scritto", oppure
incompiuti "a tempo scaduto / sarà forse l'incompiutezza / la parte più
vera e dolente / del corpo di un poeta".
Giovanna
e Carlo Ripolo