venerdì 8 dicembre 2017

Motivazione al Primo premio PLII - 2017




Angela Caccia
(Italia)
Piccoli forse
ITALIANO. Disciolta nel verso definitivo di questi stupendi Piccoli forse, colpisce una mistica dell'anti-parola.

Come tornando a valicare la soglia del tempio di Delfi, nel momento cioè che separa la chiarezza della domanda dall'ambiguità della risposta, Angela Caccia capovolge la gerarchia degli umani opposti: non il giorno, bensì la notte; non la ragione, bensì il sogno; non la parola, bensì il silenzio. In questa ristrutturazione antropologica, il tema del linguaggio torna incessante, solo che ad indicare un’insufficienza, quella della parola, che mai può cogliere l’essenziale e alla quale l’uomo affida pertanto con malposta fiducia il disvelamento del suo cammino:

le parole tentano il tracciato
di un percorso iniziatico

ed è sempre lo stesso
paradosso: la stazione di partenza
è quella di arrivo
 e altrove:

io sono non fa testo, è un falso
d’autore, un cacciatore di infiniti
non ha nome

Quell’io sono è una parola, il nome che definisce – cioè delimita, costringe, attanaglia – un soggetto il cui destino è, al contrario, farsi strada verso un infinito (è potente l’immagine primitiva della caccia, che richiama la fame, l’indispensabile) che la ragione tuttavia non coglie né il linguaggio esprime – e quando lo dice, non porterebbe a null’altro che ad un’angosciante autoreferenzialità. La rivelazione procede da un più in là, voglia ciò dire dal padre

seduto su questa luna
a dondolo, che mi guardi
– così t’immagino – e cancelli
le parole che io non sono

o dai folli che

tengono accesa una qualunque
scintilla – e perso il proprio nome –
si sentono dentro il nome di tutti

Ma chi è il folle se non colui che sa riconoscere lo “scherzo” che si ripete ogni mattina? Perché, si sa, sono

le labbra del mattino, inviolate
ancora dalla parola

Se la parola, più che svelare, occulta, la poesia – che è parola, sì, però abissale, analogicamente infinita – apre un cammino, accompagnandoci fin sulla riva
capita che una parola
una parola sola ti incammini
impatti alle tue pareti
e si faccia largo

e tuttavia spetta al silenzio – alla notte fra due parole – dischiudere il varco (ecco la dissoluzione della parola, ecco la mistica) verso un qualche infinito. Per questo è opportuno

parlarci tacendo un ponte

e perciò

sostieni con me questo silenzio
di cose vere – sudore che
la notte secerne e ti cade dentro
senza darti scampo