Angela
Caccia
(Italia)
Piccoli
forse
ITALIANO. Disciolta nel
verso definitivo di questi stupendi Piccoli forse, colpisce una
mistica dell'anti-parola.
Come tornando a
valicare la soglia del tempio di Delfi, nel momento cioè che separa la
chiarezza della domanda dall'ambiguità della risposta, Angela Caccia capovolge
la gerarchia degli umani opposti: non il giorno, bensì la notte; non la
ragione, bensì il sogno; non la parola, bensì il silenzio. In questa
ristrutturazione antropologica, il tema del linguaggio torna incessante, solo
che ad indicare un’insufficienza, quella della parola, che mai può
cogliere l’essenziale e alla quale l’uomo affida pertanto con malposta fiducia
il disvelamento del suo cammino:
le parole tentano il
tracciato
di un percorso
iniziatico
ed è sempre lo stesso
paradosso: la stazione
di partenza
è quella di arrivo
io sono non fa testo,
è un falso
d’autore, un
cacciatore di infiniti
non ha nome
Quell’io sono è
una parola, il nome che definisce – cioè delimita, costringe, attanaglia – un
soggetto il cui destino è, al contrario, farsi strada verso un infinito (è
potente l’immagine primitiva della caccia, che richiama la fame,
l’indispensabile) che la ragione tuttavia non coglie né il linguaggio esprime –
e quando lo dice, non porterebbe a null’altro che ad un’angosciante
autoreferenzialità. La rivelazione procede da un più in là, voglia ciò dire dal
padre
seduto su questa luna
a dondolo, che mi
guardi
– così t’immagino – e
cancelli
le parole che io non
sono
o dai folli che
tengono accesa una
qualunque
scintilla – e perso il
proprio nome –
si sentono dentro il
nome di tutti
Ma chi è il folle se
non colui che sa riconoscere lo “scherzo” che si ripete ogni mattina? Perché,
si sa, sono
le labbra del mattino,
inviolate
ancora dalla parola
Se la parola, più che
svelare, occulta, la poesia – che è parola, sì, però abissale, analogicamente
infinita – apre un cammino, accompagnandoci fin sulla riva
capita che una parola
una parola sola ti
incammini
impatti alle tue
pareti
e si faccia largo
e tuttavia spetta al
silenzio – alla notte fra due parole – dischiudere il varco (ecco la
dissoluzione della parola, ecco la mistica) verso un qualche infinito. Per
questo è opportuno
parlarci tacendo un
ponte
e perciò
sostieni con me questo
silenzio
di cose vere – sudore
che
la notte secerne e ti
cade dentro
senza darti scampo