Parole di un’anima … a leggerla, questa silloge, opera prima di Antonio Bevilacqua, ritornano come delle sensazioni: da dietro i vetri guardo la neve
scendere, la ascolto, ogni fiocco si unisce al manto e, toccandolo, pare dia
voce, per attimi, al silenzio assorto di cui è intriso il suo breve viaggio.
Piccole chicche dove la parola è
talmente pesata e dosata che fa subito presa sul lettore -a lui spetta, poi, il
compito di fare i conti con l’emozione rintuzzata e portare a finitura quei
versi, dentro di sé. È la magia della poesia, la sua universalità: se chi la
legge si ritrova, emotivamente gli
appartiene, così diventa quasi un dettaglio il nome dell’autore.
Antonio Bevilacqua, un
giovanottone di Cutro (Calabria), bello ed empatico, è stato attore “ha soggiornato per un periodo a Roma e nella
città eterna ha affinato la sua ispirazione artistica potendo frequentare
registi del calibro di Mimmo Calopresti, Pupi Avati, Pasquale Scimeca –
importante il rapporto col Maestro Vittorio De Seta”. Ma quando -e se- si
approda alla poesia, vuol dire raggiungere la consapevolezza di un’esigenza
-congenita o acquisita nel tempo?... –, quella di avere un rapporto più
profondo con le cose e, soprattutto, con un io che ha tanto da dire, da trovarsi
e scovarsi, decifrare e decifrarsi.
“Poeti con cui ha avuto diretta conoscenza e da cui è influenzato:
Valerio Magrelli, Franco Loi, Mario Luzi […] Ha pubblicato le sue poesie su
diverse riviste e antologie. Da segnalare la pubblicazione sul supplemento
settimanale della Stampa, Lo specchio”. Segno che la sua poesia, già da
tempo, non passava inosservata.
Il libro, dedicato a genitori
adorati, ha i versi più struggenti per un padre che non c’è più, per una madre
sempre attenta, amata e amorevole
A mio padre
Sono figlio dell’amore
Di gente umile,
tra terra e canti
ho sognato la tua mano …
Ho il tuo nome
La tua carne;
e non ho ancora le parole
per dirti addio…
Nel passato quelli che ami non muoiono –
Brodskij – e questo padre amato torna e respira ancora coi fiati e i desideri
del figlio
Voglio essere seppellito
come i padri,
tra le zolle di mare
e la terra fiorita di primavera…
e ancora
La Vita
È un canto cristiano
Questa mia vita,
che mi svegli all’alba
senza più tormentarmi.
Ti aspetto padre …
a mia madre
Madre
tu conosci
il mio dolore,
hai pianto per me.
perdonami
E poi, ancora, poesie in primo
piano che hanno per sfondo una Calabria sofferta amata. In un gioco di
prospettive, mi torna l’immagine della colonna del tempio di Era Lacinia che, a
mo’ di bandiera, si staglia con fierezza su un insolito fondale: un azzurro di
mare e di cielo che, indistinti all’orizzonte, si imbrattano
I miei versi
accarezzano
il mare di Pitagora,
e i canti
delle donne
piangono
un dio scomparso,
in una terra
senz’amore …
Il Nostro, come tanti altri
meridionali, ha lasciato, tempo fa, casa parenti amici per cercare e trovare
una sua dimensione lontano da qui, ma … qui è ritornato. A lui e ai tanti,
valgono gli ultimi versi de Il Battello ebbro di Rimbaud
Ma basta, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti.
Ogni luna mi è atroce ed ogni sole amaro:
L'acre amore mi gonfia di stordenti torpori.
Oh, la mia chiglia scoppi! Ch'io vada in fondo al mare!
Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
Nera e gelida, quando, nell'ora del crepuscolo,
Un bimbo malinconico abbandona, in ginocchio,
Un battello leggero come farfalla a maggio.
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