venerdì 10 luglio 2015

Un dire poetico elaborato e ricercato - recensione di Rosa Elisa Giangoia


   Il dubbio è, nell’età moderna, segnata dalla riflessione filosofica di Cartesio, al centro dell’esperienza esistenziale dell’uomo che progressivamente si è ritrovato sempre più propenso a dubitare su tutto, sull’origine della sua vita e sul suo destino ultimo, ma anche sul suo presente, che mai può definire sicuro per l’intrinseca immediata possibilità di cambiamento, come sul suo stesso comportamento, sempre oggetto di incertezze, interrogativi, perplessità.

   Il dubbio si estrinseca in parole, quelle che lo esprimono, per questo Angela Caccia ne ha fatto il centro tematico della sua seconda silloge poetica Il tocco abarico del dubbio (FaraEditore, Rimini 2015, pp. 93, € 10,00), titolo impreziosito lessicalmente da quell’aggettivo “abarico”, di radice greca, di uso esclusivamente scientifico per indicare il punto di non incidenza delle forze gravitazionali della Terra e della Luna che, quindi, si annullano a vicenda. In questa sospensione di interrelazioni viene posto da Angela Caccia il dubbio, quell’incertezza che contraddistingue tutto il nostro vivere, quasi bloccandolo nel riverberarsi nel molteplice quotidiano che per questo si fa costantemente problematico.

    Ad illuminare positivamente la scena del vivere non basta lo stupore di ogni giorno (Stupori), né risultano risolutivi i bagliori di luce cristiana, soprattutto non sufficienti a consolare la poetessa di fronte al dispiacere di non avere certezze da comunicare ai figli.
    Posta questa centralità del soggetto dubitante, le poesie di Angela Caccia nel susseguirsi della raccolta si articolano e sfaccettano in una pluralità tematica che tende anche ad allontanarsi dal proposito centrale con momenti di osservazioni e considerazioni sulla realtà, con esperienze di scambi affettivi, con occasioni di lettura disincantata e anche ironica dell’attualità, con omaggi letterari e artistici.

   Interessante diventa la riflessione sulla fatica e il disincanto dello scrivere, espressi in una lettera indirizzata al libro stesso, iniziato, abbandonato e ripreso, portato avanti tra incertezze e timori, ma anche con fiducia nella forza espressiva della poesia, sentita come un proficuo e costruttivo abbandono: «incedono chiari i versi / si prendono per mano / le parole esatte // solo un’eco / il robotico suono della ragione / l’anima è sciolta», Frammento 2). È la poesia stessa che si impone all’autrice, in quanto capace di coinvolgerla e trascinarla con la sua forza: «Ho da scrivere una poesia / lo sento … (Nella mia pozza)». Il suo lasciarsi prendere dalla poesia è giustificato proprio dalla definizione che Angela Caccia dà della poesia come «quella parola che, per fortunate o abili combinazioni, dà più di quanto dice», il che ne fa un’esperienza gratificante.

   Il dire poetico di Angela Caccia è elaborato e ricercato, con immagini costruite in ardite sinestesie. Bastano pochi esempi: «solfeggiano ancora pollini», in Di blu lapislazzulo; «dovrò annaffiare parole», in Propositi; «piove fitta la tua assenza», in Tra le mani; «lenzuola candide di dimenticanze», in Non ho un titolo; «mi fioriscono ancora gli occhi», in Il disegno abbandonato; «scoiattoli di parole», in Senza titolo.  Si avverte un itinerario concettuale ed espressivo impegnativo, contraddistinto dalla fatica di un’ascesa caratterizzata da un frequente «doloroso ricadere a valle» che proprio per questo tempra e fortifica. L’itinerario espressivo è in sintonia con quello concettuale del dubbio e a caratterizzarlo nella tensione espressiva  sono anche le originali creazioni lessicali (anche qui basta qualche felice esempio: «croci abbalconate», in Sei letti; «pastella il cielo / di maggio», in S’inchiostra un ghirigoro; «rami / fogliosi», in Le labbra al bello), nonché i ripetuti tentativi di dare alle «solite parole» «profili nuovi».

   Davvero positiva ed apprezzabile questa seconda prova poetica di Angela Caccia, dopo la prima silloge Nel fruscio feroce degli ulivi (2013), valida per confermare l’originalità del suo dire poetico.   

                                                                                                 Rosa Elisa Giangoia