Chi legge o scrive poesia
è, comunque, “portarore sano” di un pensiero denso di cui si serve per una sana
manutenzione delle proprie emozioni. Il virgolettato vorrebbe indicare, almeno
per quanto mi riguarda, una via di mezzo: il riflettente in questione starebbe tra un
peperone mangiato a cena e una velina di San Remo.
Assodato ciò, la mia
propensione per la filosofia, mancando di un’adeguata struttura (a volte - ne
sono cosciente - si tira in ballo la precarietà di strutture per non destare
dubbi sulle proprie capacità intellettive…) raccoglie frutti parziali precari e
sporadici. Nel corso degli anni mi sono invaghita del pensiero di alcuni
filosofi, la maggior parte li ho abbandonati per strada, pochi - e quello che di
questi ho compreso, tra cui Heidegger – li
porto, più o meno consapevolmente, nella mia scrittura.
Il tocco abarico del
dubbio è un libro diviso in cinque sezioni che
identificano approssimativamente cinque temi: il dolore, la speranza, la poesia, la
fede, la famiglia, “compagini su cui si stanzia un esserci di heideggeriana memoria” (da pag. 13). È da lì, secondo
me, che bisognerebbe partire per filtrare il tutto ed evitare, così, che la
sottoscritta sia ritenuta affetta da una qualunque forma depressiva.
Riporto, pertanto, alcuni
copia/incolla prelevati da internet:
Per
Heidegger l'esistenza è autentica quando è pervasa dall'angoscia – questa non
va confusa con la paura di morire ma equivale ad una sorta di presa di
consapevolezza, “trattasi del sentimento
di un essere che sa esistere per il suo fine” - che scaturisce dal prendere coscienza
della nostra finitudine: il "vivere-per-la-morte" ha dunque una
valenza altamente positiva, in quanto rende autentiche le scelte e, con esse,
la vita.