La tristezza ha un suo linguaggio, ma ci sono tante forme di tristezza
alle quali il linguaggio si modula, amplificando o minimizzando il suo volume
e, quindi, il suo porgersi. La gioia no, la gioia è sempre un dirompere che, a
volte, precede la felicità e l’insito senso di gratitudine che la desta: la
prima, la gioia, pare sia più duratura, una musica in sottofondo che pregna ad
ogni nota; la seconda è la vampata di un fuscello. Nel libro di Alessandro Ramberti si tocca subito la gioia. Sentimento
che si percepisce solido, consolidato da una radicale speranza/possibilità che,
di volta in volta, perde – e avrà perso - molte battaglie, ma non ha dubbi
sull’esito della guerra
Perché questo contendere e lottare
Questa inquietudine continua questa
Volontà di procedere e agire
Senza potere nulla conservare?
(Fiducia è sempre ascolto)
Io posso valutare se fermarmi
O fare avanti indietro sulla soglia:
il paradiso è un varco da scoprire
né il male che mi insidia può annullarmi:
(il seme dà il raccolto)
Perché questo contendere e lottare
Questa inquietudine continua questa
Volontà di procedere e agire
Senza potere nulla conservare?
(Fiducia è sempre ascolto)
Io posso valutare se fermarmi
O fare avanti indietro sulla soglia:
il paradiso è un varco da scoprire
né il male che mi insidia può annullarmi:
(il seme dà il raccolto)
Gioa che contagia. E dolcemente strattona il lettore a
lasciarsi azzurrare da un mare di piccole e appassionate onde: «bisogna essere
capaci di ammirazioni impetuose e accogliere in cuore molte cose con amore:
altrimenti non si è adatti a fare i filosofi. Occhi grigi e freddi non sanno il
valore delle cose; spiriti grigi e freddi non sanno il peso delle cose»
(Nietzsche F., Frammenti
postumi, 1884).
Ramberti: nel poeta il filosofo, e viceversa. Il suo pensiero – denso e impegnativo, ma non per questo meno fluido e fruibile – “rassicura” la fede del lettore sulle ragioni di un credo, il suo, che non disdegna gli scatti dell’emozione – tangibilissimi in questa silloge –, ma che conosce bene il chiaroscuro di un angolo di deserto o la fredda cima di un monte dove il Vento parla, e parla a chi sa ascoltarlo.
Tra un verso e l’altro, brevi e apparenti digressioni tra parentesi, – un fastidio a primo acchito, come se il cammino intrapreso dal primo rigo, all’improvviso, si biforcasse – si svelano chicche, a volte chiavi di lettura di quanto segue o precede; altre, indicano la particolare tonalità di colore che il poeta ha voluto imprimere al verso: ecco, allora, che l’occhio le insegue
In cosa o in chi vediamo la bellezza
Dove ce ne sentiamo più colpiti
Come la distinguiamo dall’amore
O dalla verità o dalla fortezza?
(Cospira con l’azione.)
Hai forse una risposta che sia avulsa
Dal crescere nel flusso della vita?
Il corpo ha una memoria spirituale
Oltre la realtà che si compulsa?
È un canto e una lode, questo libro, vi è riflesso il senso della vita e una vita che aderisce – come può come sa, conscia della troppa umanità – a quel senso che non ha nulla di astratto, e si esplicita e si materizza in volti incontri relazioni, così come l’umiltà è adesione alla terra e al terroso.
Sotto i piedi dei viandanti diventa,
l’erba che si continua a calpestare,
un sentiero: ciascuno col suo ritmo
gli ha dato intensità, una nota attenta
(sublime chirurgia)
Magari attanagliata da un dolore
Inficiata da un male inestirpabile
Oppressa dall’ingiusto o sollevata
Dalla beata grazia, dall’amore.
Mirabili quegli innesti, brevi prose e citazioni che accompagnano i versi. Tra le due voci, versi e prose, – al di là dei canoni poetici pienamente rispettati, anche se spicca una musicalità che fa da padrona in ogni pagina –, non c’è quella che insegue regge o rafforza l’altra: si percepisce un’unica consonanza, come se il movimento creativo dell’autore, abbia cercato - faticato - e trovato al suo interno il giusto timbro che accomuna il sentire umano, il punto di fuga dove l’io si trova in piena simmetria col tu, ormai lontano da babelici linguaggi. Sarà stato sfiancante il lavoro. Lodevole, per il lettore, il non percepire il benché minimo senso di quella fatica: un’inflessione della gioia. Come se il nostro, fin dal primo verso, conosca bene il monito di Rilke e lo abbia fatto suo: «Solo ponete attenzione a quello che sorge in voi e ponetelo sopra a tutto.»
Un libro di Fede con l’iniziale maiuscola che parla dalla pienezza di un cuore. Fede terrena, conscia della sua coriacea fragilità che spinge all’umana instabilità fino al tradimento, ma altrettanto conscia che la fede è vera proprio perché “sa ritornare” e ri-nascere dall’alto
Il piombo dello stagno assorbe i lividi
bagliori delle stelle e quelli impliciti
delle foglie – la pelle si è squamata
I sentimenti aprono gli anelli:
bisogna uscire fuori dal sepolcro
per nascere di nuovo ma dall’alto.
Chi vola non imprime tracce a terra.
Ramberti: nel poeta il filosofo, e viceversa. Il suo pensiero – denso e impegnativo, ma non per questo meno fluido e fruibile – “rassicura” la fede del lettore sulle ragioni di un credo, il suo, che non disdegna gli scatti dell’emozione – tangibilissimi in questa silloge –, ma che conosce bene il chiaroscuro di un angolo di deserto o la fredda cima di un monte dove il Vento parla, e parla a chi sa ascoltarlo.
Tra un verso e l’altro, brevi e apparenti digressioni tra parentesi, – un fastidio a primo acchito, come se il cammino intrapreso dal primo rigo, all’improvviso, si biforcasse – si svelano chicche, a volte chiavi di lettura di quanto segue o precede; altre, indicano la particolare tonalità di colore che il poeta ha voluto imprimere al verso: ecco, allora, che l’occhio le insegue
In cosa o in chi vediamo la bellezza
Dove ce ne sentiamo più colpiti
Come la distinguiamo dall’amore
O dalla verità o dalla fortezza?
(Cospira con l’azione.)
Hai forse una risposta che sia avulsa
Dal crescere nel flusso della vita?
Il corpo ha una memoria spirituale
Oltre la realtà che si compulsa?
È un canto e una lode, questo libro, vi è riflesso il senso della vita e una vita che aderisce – come può come sa, conscia della troppa umanità – a quel senso che non ha nulla di astratto, e si esplicita e si materizza in volti incontri relazioni, così come l’umiltà è adesione alla terra e al terroso.
Sotto i piedi dei viandanti diventa,
l’erba che si continua a calpestare,
un sentiero: ciascuno col suo ritmo
gli ha dato intensità, una nota attenta
(sublime chirurgia)
Magari attanagliata da un dolore
Inficiata da un male inestirpabile
Oppressa dall’ingiusto o sollevata
Dalla beata grazia, dall’amore.
Mirabili quegli innesti, brevi prose e citazioni che accompagnano i versi. Tra le due voci, versi e prose, – al di là dei canoni poetici pienamente rispettati, anche se spicca una musicalità che fa da padrona in ogni pagina –, non c’è quella che insegue regge o rafforza l’altra: si percepisce un’unica consonanza, come se il movimento creativo dell’autore, abbia cercato - faticato - e trovato al suo interno il giusto timbro che accomuna il sentire umano, il punto di fuga dove l’io si trova in piena simmetria col tu, ormai lontano da babelici linguaggi. Sarà stato sfiancante il lavoro. Lodevole, per il lettore, il non percepire il benché minimo senso di quella fatica: un’inflessione della gioia. Come se il nostro, fin dal primo verso, conosca bene il monito di Rilke e lo abbia fatto suo: «Solo ponete attenzione a quello che sorge in voi e ponetelo sopra a tutto.»
Un libro di Fede con l’iniziale maiuscola che parla dalla pienezza di un cuore. Fede terrena, conscia della sua coriacea fragilità che spinge all’umana instabilità fino al tradimento, ma altrettanto conscia che la fede è vera proprio perché “sa ritornare” e ri-nascere dall’alto
Il piombo dello stagno assorbe i lividi
bagliori delle stelle e quelli impliciti
delle foglie – la pelle si è squamata
I sentimenti aprono gli anelli:
bisogna uscire fuori dal sepolcro
per nascere di nuovo ma dall’alto.
Chi vola non imprime tracce a terra.