lunedì 22 luglio 2013

Sul “fruscio olivetano" di Angela Caccia – Recensione di Marcello Tosi




Nel fruscio feroce degli ulivi di Angela Caccia (Fara editore), è anche, scrive nella prefazione Davide Rondoni, soprattutto un volgersi “alla grande narrazione della fede… un sorprendersi ancora non ‘compiuta’, nascente ancora, come una possibilità”.
Poesia che nei segni di riferimento si fa immediatamente tensione verso l’Alto: il monte Tabor, il canto del gallo verso del tradimento, il Calvario, ovvero “l’incipit di un’altra storia / il fodero di questa vita”. Morte e rinascita disegnano le loro tracce “tra spazio tempo e sogno”. La poesia sul foglio bianco si fa “utero e ossario di parole” quella parola preziosa “che spiega / mi compiace / e sa quadrare il cerchio”. La nostalgia ripetutamente sottolineata per quell’approdo “dove la coscienza si fa porto” semina parole in fuga “che corrono scalze / su frescure di sabbia tersa”. 

Solo un verso, dalla parabola di Paul Celan Animus e Anima “… lascia di nuovo che ti leggano il cuore”, si fa consegna di un’autobiografia spirituale e sentimentale. Quel foglio “campo di battaglia” in cui l’autrice cerca di dare il nome ad un dolore che implode mentre “s’appanna la parola / dalla gola sputo il verso / poi / tutto s’acquieta”. Questo tempo si fa quasi un eco avanti al suono, di nostalgia, come un film in bianco e nero, quando decidersi, barattare il presente. Nelle cose dell’amore, ogni filo d’inchiostro è un “darsi’ al foglio… l’abbandonarsi in / quello stesso abbraccio… / sguardo ritrovato”. Come s’innalza una croce (Stabat Mater), “uno strano respiro d’amore…” fa intendere al cuore che sintesi di essere uomini è la morte, che nel buio ignoto “quel fiotto di luce” è la vittoria”.

Nei frammenti dell’anima che si libra per vicoli chiusi ricolmi, che raccatta di sé ciò che il giorno ha disperso, vive un santuario di memorie. Parole senza voce, cose da rinominare, da tornare a chiamare amore. L’attimo creativo è una fiammata, che punge e trafigge da parte a parte… “una parola ustionata di realtà / la tunica senza cuciture / che sa che costa sangue”. Voce sottopelle, che vive di incognite e di stelle. Ma i giorni come lame affilate marchiano memorie: I giorni sottili (pensando al terremoto in Emilia), o Lettera alla mafia (in memoria di Falcone e Borsellino), perché per l’autrice “niente è più pesante / di una coscienza quieta / nel cuore a ripostiglio”…  ma “formicolano attimi senza velo / ripuliti di cenere”. Ѐ la geografia spirituale di un giorno di pioggia: visioni a cui il verso sorride e l’anima “chiosando in corsivo, si legge e si racconta”. Cronaca, di un’angoscia che ha un nuovo ritmo, una sua misura “quasi una forma che / somiglia alla speranza”. Il calco dei pensieri si trasforma in un memoriale di veggente antica visione sapienzale.

 “Chiudo il libro e nel tonfo si / sfarina un’intimità dolce” (Ho letto Borges). Il paradosso è un topos mai localizzato, di fatto una linea di confine, il paradosso della morte “avremo la chiave della Verità / e mancheranno le porte”.

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