Nel fruscio
feroce degli ulivi di Angela Caccia (Fara editore), è anche, scrive
nella prefazione Davide Rondoni, soprattutto un volgersi “alla grande
narrazione della fede… un sorprendersi ancora non ‘compiuta’, nascente ancora,
come una possibilità”.
Poesia che nei segni di riferimento si fa immediatamente tensione verso l’Alto: il monte Tabor, il canto del gallo verso del tradimento, il Calvario, ovvero “l’incipit di un’altra storia / il fodero di questa vita”. Morte e rinascita disegnano le loro tracce “tra spazio tempo e sogno”. La poesia sul foglio bianco si fa “utero e ossario di parole” quella parola preziosa “che spiega / mi compiace / e sa quadrare il cerchio”. La nostalgia ripetutamente sottolineata per quell’approdo “dove la coscienza si fa porto” semina parole in fuga “che corrono scalze / su frescure di sabbia tersa”.
Poesia che nei segni di riferimento si fa immediatamente tensione verso l’Alto: il monte Tabor, il canto del gallo verso del tradimento, il Calvario, ovvero “l’incipit di un’altra storia / il fodero di questa vita”. Morte e rinascita disegnano le loro tracce “tra spazio tempo e sogno”. La poesia sul foglio bianco si fa “utero e ossario di parole” quella parola preziosa “che spiega / mi compiace / e sa quadrare il cerchio”. La nostalgia ripetutamente sottolineata per quell’approdo “dove la coscienza si fa porto” semina parole in fuga “che corrono scalze / su frescure di sabbia tersa”.
Solo un verso, dalla parabola di Paul Celan Animus e Anima “… lascia
di nuovo che ti leggano il cuore”, si fa consegna di un’autobiografia
spirituale e sentimentale. Quel foglio “campo di battaglia” in cui l’autrice
cerca di dare il nome ad un dolore che implode mentre “s’appanna la parola /
dalla gola sputo il verso / poi / tutto s’acquieta”. Questo tempo si fa quasi
un eco avanti al suono, di nostalgia, come un film in bianco e nero, quando
decidersi, barattare il presente. Nelle cose dell’amore, ogni filo d’inchiostro
è un “darsi’ al foglio… l’abbandonarsi in / quello stesso abbraccio… / sguardo
ritrovato”. Come s’innalza una croce (Stabat Mater), “uno strano respiro
d’amore…” fa intendere al cuore che sintesi di essere uomini è la morte, che
nel buio ignoto “quel fiotto di luce” è la vittoria”.
Nei
frammenti dell’anima che si libra per vicoli chiusi ricolmi, che raccatta di sé
ciò che il giorno ha disperso, vive un santuario di memorie. Parole senza voce,
cose da rinominare, da tornare a chiamare amore. L’attimo creativo è una
fiammata, che punge e trafigge da parte a parte… “una parola ustionata di
realtà / la tunica senza cuciture / che sa che costa sangue”. Voce sottopelle, che
vive di incognite e di stelle. Ma i giorni come lame affilate marchiano
memorie: I giorni sottili (pensando al terremoto in Emilia), o Lettera
alla mafia (in memoria di Falcone e Borsellino), perché per l’autrice “niente è
più pesante / di una coscienza quieta / nel cuore a ripostiglio”… ma
“formicolano attimi senza velo / ripuliti di cenere”. Ѐ
la geografia spirituale di un giorno di pioggia: visioni a cui il verso sorride
e l’anima “chiosando in corsivo, si legge e si racconta”. Cronaca, di
un’angoscia che ha un nuovo ritmo, una sua misura “quasi una forma che /
somiglia alla speranza”. Il calco dei pensieri si trasforma in un memoriale di
veggente antica visione sapienzale.
“Chiudo il libro e nel tonfo si / sfarina
un’intimità dolce” (Ho letto Borges). Il paradosso è un topos mai localizzato,
di fatto una linea di confine, il paradosso della morte “avremo la chiave della
Verità / e mancheranno le porte”.
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