AOSTA – La
ricerca poetica è ricerca spirituale: il fine della poesia di Angela Caccia è lampante e palese. Nella sua silloge “Nel fruscio feroce degli ulivi”, edito da Fara Editore nel 2013, la
Caccia squaderna la potenza della sua parola poetica nella contemplazione del
metafisico, nella ricerca di evidenti prove dell’esistenza d’un particolare (e
specifico) altrove. Ma ogni prova, ogni dato d’evidenza, è coraggiosamente
vagliato dalla ragione, che non perde mai il suo ruolo di referente ultimo: il
pensiero è filo guida, anche quando le istanze profonde, i richiami più urgenti
oltrepassano il sensoriale, l’empirismo, lo spiegabile e il comunicabile. E la
parola ricerca lo spessore: “Parole parlanti le tue / parole scritte in fuga”;
lo cerca sulla pagina bianca, sul campo d’arare della letteratura: “È campo di
battaglia il foglio”; lo ricerca nella materia più terrestre, nella dimensione
più terrena, quella che è più sincera e naturale: “Parole vere / le più
terrose”. E lo cerca in relazione a un interlocutore, un tu che cambia spesso
forma, come dune nel deserto: se spesso pare la poetessa rivolgersi a Dio,
altre volte chiaramente l’interlocutore è più fisico, maschile, definito nella
sua identità (“Ora sei altro da me / ora sei l’uomo che io sognavo / e tu non
speravi. Ho spinto il tempo / e lui ti ha colmato di sé”).
Le immagini sono
attinte, come capita sovente in questi anni, dalla realtà quotidiana; ma è una
realtà particolare, per certi tratti remota, con pennellate di “sai di cielo e
/ di bucato sulle corde”. C’è il ricordo, la reminiscenza di interni intimi e
caldi, profumati di umanità: “Terrò il / focolare sempre acceso e grappoli di
cipolle / ed erbe secche ai muri”. Ma oltre la soglia c’è comunque il mondo; e
il mondo è il luogo dove si concretano le scoperte; ma è anche il luogo della
gioia, del benessere: “Nei rumori familiari della strada / una gioia sottile /
rimbalza dai marciapiedi alle case”. È una ricerca di grande libertà, una
spinta non all’evasione ma all’espansione: “Solo al vento / sarà dato
scollinare le frontiere?”. La fiducia nell’estensione è totale, attraverso
l’utilizzo delle parole e della comunicazione; si rifiuta il silenzio fine a sé
stesso, un silenzio che non sia meditazione, ma come Giovanni si preferisce
urlare nel deserto: “”Lancia in alto le sillabe / e ricadranno pietre / a
frantumare i muri”.
La materia poetica
è tratta in grande quantità dal Vangelo, dalle sue immagini e dalle sue parabole:
“È chiarore di vita […] / è il chicco di grano che torna a cadere nel solco”.
Ed esattamente come nel Vangelo, la portata di umanità travolge il mondo in
ogni sua attesa e aspettativa, cercando soluzioni e continuità alla Storia
umana più estesa: ecco che compaiono le poesie “I giorni sottili (pensando al
terremoto in Emilia)”, “Lettera alla mafia (in memoria di Falcone e
Borsellino)” e “A Giovanni Paolo II”. La Storia non intasa, non soffoca la
continua ricerca, l’esplorazione oltre ogni gradino, ma la rende solo più
feconda, più abbondante e nutriente; tutto si fonde in una sorta di “geografia
spirituale” che alimenta la domanda e concede il tentativo di risposte: “E
saprà ancora farsi primavera”. L’origine del tutto è una scintilla, che esplode
“nella penombra di una grotta”, e la nostra crescita rappresenta la costante
evoluzione verso un approdo ultimo, dove ci sia la certezza di aver compiuto un
percorso di crescita intima e personale, ma che metta in rapporto anche con la
società e l’alterità: “Qualcuno approda dove la coscienza si fa porto”.
Giulio Gasperini
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