L’iris ha petali dai contorni slabbrati, la
base carnosa e uno stelo spesso. Così anche Iris. Tentava di affilare le gambe
a salsicciotto indossando altissimi tacchi a spillo. Quel profumo di eleganza,
che portava dentro e fuori di sé, colorava, per l’attimo che durava la
fragranza, i corridoi del Tribunale.
Entrò in cancelleria spalancando, al
solito, in modo maldestro la porta. Salutò e non attese risposta né ricambiò sguardi:
li sapeva tutti ammaliati dalla sua figura.
Intravide il nuovo giudice, stava rovistando
tra fascicoli. Le parve un viso conosciuto. “Piacere…” tese baldanzosa la mano e, in sincronia, la
sua arma: il sorriso. L’uomo la guardò appena le strinse la mano bofonchiò
qualcosa poi si allontanò. Iris strabuzzò
gli occhi.
Decise di dargli un’altra opportunità e si sedette di fronte lui sfogliando un brogliaccio. Poi, con un gesto lento, allontanò i capelli che le inondavano la fronte e scoprì gli occhi – un tuffo in loro e si rimaneva naufraghi. Grandi, azzurri, striati di viola, puntarono il giudice e lui a sua volta la guardò, pacifico.
Eppure lo conosco, pensava. Lasciò perdere
quel rovello, doveva correre in udienza e non c’era impiegato, funzionario o
commesso nei paraggi, che si caricasse, per lei, i suoi faldoni. Coi fascicoli su
un braccio si avviò per le scale. La penombra di un cielo uggioso, la ricerca
di quel volto tra i ricordi, dimenticò gli ultimi scalini.
Il nuovo giudice accorse tra i primi, scese
verso di lei che veniva soccorsa dai più lesti e devoti, ma … passò oltre.
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